caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

LA BELLEZZA DEL SOMARO regia di Sergio Castellitto

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Invia una mail all'autore del commento LukeMC67     8½ / 10  22/12/2010 02:51:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mi sbilancio subito: il miglior film che ho visto in questa altrimenti scialba stagione cinematografica, senz'altro il più originale. Sembra un UFO all'interno della produzione italiana, solo Salvatores può essere avvicinato allo stile visionario e grottesco adottato da un Castellitto in stato di grazia tanto come regista che come attore.
Un plauso alla Warner che ha avuto il coraggio di distribuire in questo periodo una pellicola così ardita per un pubblico come quello italiano che non ha mai amato troppo le digressioni oniriche (eccettuato Fellini, super-celebrato fino alla sua morte e poi prontamente dimenticato, qui esplicitamente citato dal personaggio principale di nome Marcello). I non entusiasmanti incassi finora ottenuti stanno lì a dimostrarlo, ahinoi.
Una commedia anarchica, tanto in senso stilistico che contenutistico, graffiante, implacabile fino ad essere corrosiva supportata da un cast di attori al meglio di sé.
Su tutti un Enzo Jannacci tenerissimo e delicato che tratteggia un personaggio semplicemente vecchio, contento della sua vita che sente volgere alla sua fine naturale e per questo charmant. Non un saggio (lui stesso si meraviglia di quanti "Capi Apaches" abbiano bisogno i disillusi cinquantenni altoborghesi in cui finisce con l'imbattersi), ma semplicemente una persona cui l'età anagrafica coincide con quella mentale. Magia!
Sì, perché il vero tarlo che rode i personaggi affermatissimi che popolano la pellicola della coppia Mazzantini-Castellitto, è la loro incapacità di assumere la propria età (quindi, fatalmente, la loro vita) e il loro essere genitori che non li responsabilizza ma anzi li rende dipendenti dall'amore e dalla riconoscenza dei figli in un curioso quanto perverso rovesciamento di ruoli.
Nel paradosso assoluto di una generazione nostalgica dei propri anni giovanili che però gioca a farsi beffe del tempo che passa, la Mazzantini e Castellitto affondano il coltello senza tanti complimenti.
Così, i personaggi più "assennati" sono quelli più folli, in una sorta di "Fool(s) on the Hill" in salsa toscana; essi irrompono sulla scena con una carica implosivamente eversiva che stupisce sia per la loro (talvolta estrema) bizzarria che per il loro tragicomico nichilismo (l'aspirante suicida che fotografa tutti "prima che muori" è il personaggio più godibile e azzeccato, con i suoi atteggiamenti che scimmiottano il Max Von Sydow del "Settimo sigillo" a metà tra Don Chisciotte e Brancaleone da Norcia, per non parlare della governante che sembra un kapò appena uscito da un lager o della paziente invadente perennemente attaccata al biberon...).
Su tutti campeggia un collodiano somaro che, al pari di quello di "Pinocchio", sembra scandire i tempi della commedia umana che si svolge nelle sue vicinanze nell'ingrato compito di sottolineare l'inadeguatezza esistenziale di persone altrimenti dotate di un notevole quanto ingombrante (a questo punto inutile?) bagaglio culturale che li condanna fatalmente all'autoreferenzialità.
In fondo, la tragedia (ormai prossima alla farsa) che attanaglia la nostra civiltà al tramonto è quella di non sapersi più rapportare coi propri pari: tra giovani che cercano vecchi e vecchi che cercano giovani si consuma il dramma della solitudine più profonda causata dall'incapacità di empatizzare o anche solo di simpatizzare. Cioè di comunicare. Alla verbosità ostentata nei contenuti e nei toni (molto urlati, Muccino docet) si contrappone, infatti, la frigidità corporea o la compulsione della ricerca di avventure sessuali tanto intense quanto nascoste e inconcludenti.
E non è che le nuove generazioni si salvino, schiave come sono della ricerca di figure genitoriali da ammazzare, più ideali che reali, prigionieri di verginità non volute quanto di disinvolture sessuali praticate per curiosità e noia più che per e con piacere.
Per dire tutto questo Margaret Mazzantini ricorre a uno script fin troppo citazionista (forse l'unica, vera pecca del film) nel quale sembra volerci dimostrare quanto è brava e colta.
Castellitto traduce in immagini originalissime e in visioni tanto inaspettate quanto grottesche la sceneggiatura dirigendo con mano fermissima se stesso e i numerosi attori del cast. Anche lui, però, sembra a tratti voler fare il primo della classe a tutti i costi, riuscendoci ma sacrificando un po' di naturalezza al risultato finale. Due difetti che purtroppo terranno alla larga il grande pubblico anestetizzato dalla logica lineare e ripetitiva delle fiction televisive, ma che costituiscono una ventata d'aria fresca nel linguaggio altrimenti asfittico e prevedibile del cinema italiano medio.
Bella la colonna sonora di Arturo Annecchino su cui campeggia "Dreams" dei Cranberries; stupenda la fotografia di Gianfilippo Corticelli, indispensabile a rendere la straniazione delle varie situazioni; ottimo il (non facile) montaggio serratissimo di Francesca Calvelli che sostiene quasi da solo il ritmo travolgente di questa inaspettata commedia degli ossimori, brillante e progressista ma tutta votata al nichilismo del disincanto.
jack_torrence  22/12/2010 12:33:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
D'accordo, Luca, praticamente su tutto!
Fai la recensione? ;) Quasi l'hai già fatta.
Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  23/12/2010 09:31:45Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ciao Stefano! Proverò domani a rielaborare il commento aggiungendo soprattutto qualcosa di più analitico sui personaggi e poi invierò la recensione...