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LA SFIDA DEL SAMURAI regia di Akira Kurosawa

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Godbluff2     8 / 10  04/11/2022 22:58:35Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Yojimbo" è un film importante; non solo perché rappresenta un ennesimo tassello di qualità in una filmografia che anche negli anni più prolifici quantitativamente (diciamo dunque da metà anni '40 a metà anni '60) non ha mai prodotto meno che buoni film e all'interno della quale questo titolo si impone come uno dei più classici, ma è importante anche perché, di fatto, è il film che fa da "seme" per la rivoluzione del genere western esplosa in Italia-poi in Europa-infine nella patria americana del genere, con una miccia accesa in Giappone, solo che "Yojimbo" mica lo sapeva questo e nemmeno il suo autore, che se ne accorse solo qualche anno dopo quando un tale Leone romano se ne uscì con un film a basso costo decisamente rivoluzionario evidentemente ricalcato su "Yojimbo". Insomma, quando si parla della ritinteggiata del Western esplosa nel 1964, bisogna tornare indietro di tre anni e fare un ringraziamento anche a questo, ennesimo, gran film di Kurosawa. Mica poco. Sarà stato il destino, chissà, per un fan del cinema americano di genere, e del western nello specifico, come Mastro Kurosawa.
Andando oltre la sua influenza "di rimbalzo" su un intero genere cinematografico, "Yojimbo" ha, chiaramente, tutte le caratteristiche del gran cinema di uno dei più grandi registi di tutti i tempi, mica il primo che passava di là.
Quell'equilibrio espressivo totale tra l'autorialità personale e la capacità d'intrattenimento che gli ha permesso di imporsi a livello internazionale molto più di ogni suo altro connazionale, detto in breve, è l'ingrediente non molto segreto per la ricetta di un cinema perfetto, per di più arricchito da un'abilità tecnica con la macchina da presa, da una conoscenza piena della materia cinematografica e da una sensibilità espressiva davvero non comuni.
In "Yojimbo" ad esempio è perfetto il dosaggio tra l'epica kurosawiana e l'uso di un'ironia brillante e persino di certi guizzi di comico grottesco, con i due gruppi rivali ritratti come maschere vigliacche, stupide, ridicole, come nella sequenza del non-scontro tra i due gruppi, dove ogni gruppo "prova" ad attaccare l'altro, poi se la fa sotto e fa un passo indietro, una specie di danza di ridicola buffoneria, mentre Sanjuro, col ghigno di Mifune a renderlo indimenticabile, se la ride osservandoli da una torretta. Una scena fantastica.
Il film non ha la stessa forza epica di altri film precedenti e successivi di Kurosawa ma soprattutto la sequenza dello scontro finale tra Sanjuro e Unosuke e i suoi fratelli entra a pieno nel novero "epico" del regista.
Bellissima la costruzione di un personaggio come Sanjuro, affidato all'estro del fedelissimo Toshiro Mifune, che giganteggia da par suo; anti-eroe dalla scorza cinica e bastàrda ma dall'animo profondamente onorevole, un sorriso beffardo stampato in faccia e uno stecchino in bocca (e si, lo stecchino è il sigaro 1.0) e con un antagonista altrettanto ben caratterizzato, Unosuke, che ha il volto di un altro grande attore,Tatsuya Nakadai, al suo primo grande ruolo con un regista del quale diverrà da qui in poi un altro fedelissimo, inaugurando un sodalizio che durerà fino al capolavoro "Ran" nel 1985.
La regia di Kurosawa evidenzia in modo efficacissimo la differenza netta tra Unosuke e gli altri "cattivi": lui è astuto, giovane, un angelo spietato che ha conquistato un potere bellico, la pistola, che lo pone al di sopra di qualsiasi nemico o pericolo, ma che lo rende arrogante, sicuro di sé e della sua invincibilità.
Ci sono primi piani o mezzi primi piani su Nakadai che ne esaltano la solida espressività, lo sguardo guizzante, beffardo, da vero stronzètto arrogante.
Il dualismo Sanjuro-Unosuke è costruito anche sulla dialettica Katana-Pistola, con quest'ultima che si impone come elemento nuovo e terremotante in un contesto ancora legato a scontri condotti con armi da taglio e le lame tradizionali dei samurai; idee bellissime, semplici e forti, che si impongono iconicamente rendendo "Yojimbo" uno dei film più celebri, con merito, del regista anche se non tra i migliori in assoluto (pur ottimo, non raggiunge il livello dei vari capolavori di Kurosawa).
Altri personaggi-caratteristi memorabili sono l'oste (Eijiro Tono, altro habituè di Kurosawa) e il "bottaio" (il cassamortaro), è inoltre presente anche Takashi Shimura, primo storico attore feticcio di Kurosawa (c'è fin dal primissimo film del regista, "Sanshiro Sugata"), qui in una delle ultime collaborazioni con Kurosawa e con il compagno di mille scene Mifune, in un ruolo molto limitato anche se con un personaggio importante negli sviluppi narrativi.
"Yojimbo" è, credo, l'unico film a vedere recitare insieme tutti e tre i grandi attori feticcio di Kurosawa insieme, Shimura, Mifune e Nakadai, se escludiamo il piccolo ruolo non accreditato di quest'ultimo ne "I Sette Samurai".
Come sempre, Kurosawa riesce quindi a fondere tradizione giapponese, cinema d'autore e ritmi narrativi e messa in scena aperti ad una fruibilità totale per il pubblico internazionale, confermando la sua capacità naturale di assorbire in modo personale la freschezza del miglior cinema d'intrattenimento occidentale; ne esce un film "d'intrattenimento autoriale" che è commedia satirica acuta e epica raffinata, divertente da seguire ma anche da osservare con attenzione per la cura e l'inventiva con la quale Kurosawa costruisce le sue inquadrature (con la fotografia di Kazuo Miyagawa, già direttore per "Rashomon" con Kurosawa, robettina proprio) ne dispone i personaggi al loro interno e gioca con gli elementi ambientali e lo spazio, sfruttando le profondità di campo o piani più ravvicinati che comunicano perfettamente tutta la vasta gamma caratteriale delle varie figure in gioco, dai protagonisti al più squallido dei personaggi secondari.
Pur senza il grande respiro epico di un "I Sette Samurai" o le sperimentazioni formali-narrative di un "Rashomon" anche "Yojimbo" si difende bene, è proprio un gran bel film insomma, l'ennesimo di un maestro di cinema infallibile. Non è un capolavoro no, ma quelli non possono uscir fuori sempre come noccioline, nemmeno ad Akira Kurosawa.