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I SETTE SAMURAI regia di Akira Kurosawa

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amterme63     10 / 10  04/03/2010 23:45:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E’ tutto il giorno che penso con tanta nostalgia a questo film che ho visto ieri sera. I personaggi mi sono rimasti molto impressi. Sono sì “eroi”, persone “speciali”, ma allo stesso tempo sono persone normalissime, terra terra. Si ha l’impressione di avere a che fare con degli amici, con qualcuno che sentiamo come familiare, giusto perché le qualità di queste persone normali/speciali non sono qualcosa di eccezionale; tutta la loro ricchezza sta nell’animo, è tutta interiore, è equilibrio di ragione e sentimento, è tutto ciò che di positivo può avere lo spirito umano.
Bisogna dire davvero grazie a Kurosawa che a 40 anni ha deciso di creare con i “I sette samurai” una specie di monumento artistico alla possibilità umana di dominare gli istinti distruttivi e a vivere armonicamente in comunità; anzi delineando proprio nell’unione e nel complemento delle singole persone in un gruppo coeso, l’unica possibilità possibile di “progresso” umano.
C’è notare con rimpianto che questo equilibrio appartiene tutto ad un mondo e ad una società spazzati via dalla grande Rivoluzione Industriale degli anni 50-60 del ‘900. Oggi predomina la consapevolezza che le semplici qualità umane non bastino più a esorcizzare gli istinti distruttivi, mentre l’etica individualista ha distrutto ogni tipo di soluzione comunitaria prospettata nel passato.
Nel microcosmo dei 7 samurai sono condensati tutti i temi cari all’arte di Kurosawa. Al vertice c’è il “maestro”, il quale non si distingue per forza o autorità, ma soprattutto per equilibrio, misura, esperienza, modestia, liberalismo e per il sentimento di valere solo in funzione di ciò che si è fatto per gli altri. Persone sempre un po’ venate di malinconia e di realismo, consapevoli di agire con poche prospettive e con nulla in cambio. Si avvicinano alla perfezione perché conoscono a fondo l’imperfezione.
Accanto, alla pari, c’è il giovane focoso, impulsivo, passionale, dotato di grandissima forza ma mancante di disciplina ed esperienza. L’unione/collaborazione fra l’anziano dotato di razionalità e il giovane dotato di passione è la formula giusta per vincere qualunque tipo di sfida.
Del resto in tutto il film si cerca di dimostrare che non esiste scala nelle qualità o nelle dignità umane: tutte hanno uguale valore, tutte sono importanti. Solo che la “qualità” in sé non serve a niente, acquista valore solo in unione e in coalizione con le altre.
A rendere ancora più forte il senso di “umanità” dei personaggi c’è la loro anticonvenzionalità, infatti sono brutti, poco attraenti, di poche pretese. Ci pensa poi Kurosawa che imitando Shakespeare mescola tragico e comico, serio e faceto, proprio per dare l’idea artistica di completezza e universalità umana, vista in tutti i suoi aspetti positivi e negativi, belli e brutti.
Stilisticamente questo film assomiglia molto ai film di John Ford. In fondo c’è lo stesso tema di “Ombre Rosse”: l’esigenza di stringersi in unione e coalizione per sconfiggere un pericolo mortale esterno. In più rispetto a quest’ultimo film c’è il fatto che l’unione è trattata in maniera molto regolata, ponendosi regole ben precise, creando un senso di comunità con obiettivi comuni, dove non vale più il singolo ma la collettività. Questo riflette l’etica tradizionale giapponese, più portata a pensare in collettivo che in individuale.
Anche il finale riecheggia John Ford (Sentieri Selvaggi) dove l’”eroe”, una volta compiuta la missione, ritorna con una punta di malinconia e rimpianto ad una specie di isolamento contemplativo dell’ordine ristabilito.
Il mondo di Ford e di Kurosawa era quello delle piccole unità che dovevano affrontare il problema quotidiano della sopravvivenza materiale, con in più l’esigenza di difendersi dai pericoli provenienti dall’esterno. Questo mondo, come detto, non esiste più. Nel mondo occidentale attuale non esistono più problemi di sussistenza materiale e il pericolo sembra provenire più che altro dall’interno. Nel film stesso si accenna alla fine dell’approccio umano e razionalista per sconfiggere l’istinto distruttivo. Una parte determinante viene giocata dall’introduzione dell’arma del fucile che rende completamente inutili tutte le arti fisiche e mentali sviluppate in funzione di “difesa”. Non a caso il samurai più bravo viene fatto fuori proprio da un fucile.
E’ anche il simbolo dell’arrivo della tecnologia, dell’impersonalità e della freddezza della macchina, che spariglia tutte le carte e rende obsoleto e inutile tutto quello che è frutto di esperienze umane di millenni. E’ un po’ la nostra situazione di postmoderni, privi di punti di riferimento e schiacchiati dall’incertezza e dal pericolo che vengono dalla perdita di controllo diretto del vivere quotidiano (un pericolo quindi che viene dall’interno) e ridotti a sentirsi come impotenti unità solitarie, senza trovare scampo in una salvezza che potrebbe venire solo da un’unione collettiva e da un coordinamento delle singole forze.
Per questo oggi è così doloroso, fa così male vedere quello che è forse il più bel film “positivo” che sia mai stato girato.
vitocortesi  07/04/2010 20:42:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
I miei complimenti splendido commento.Sei anche tu del 63?
amterme63  08/04/2010 08:32:03Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sì ! Ottima annata, vero?