kowalsky 7 / 10 12/10/2010 23:06:07 » Rispondi Il cinema di Pupi Avati ambisce prevalentemente a "riconciliare" con la ferìta, le persone "scomode" o in qualche modo mentalmente disturbate vengono in genere rivalutate - in un'ottica di guarigione morale (v. Il papà di Giovanna) o precocemente messe nelle condizioni di non infierire più a se stessi o agli altri. E' questa la prima perplessità che riguarda il discusso "Una sconfinata giovinezza", dove il cinema Avatiano tocca vertici sublimi ma "sconfina" proprio con una forte componente di nostalgìa per un tempo lontano. Un tempo, è bene sottolinearlo, che fa emergere tra le pieghe compassate del familismo doc anche sottili (moderne?) meschinità (spoiler) Queste meschinità vagano nell'aria come se fossero tasselli di un mosaico di ipocrisie a cui è più facile credere - perchè assumono l'identità di una gretta solidarietà. Nessun spettatore si sogna mai di dire o pensare che la famiglia borghese e cattocristiana di Chicca sia ripugnante, ed è invece evidente che chi ha visto il film ha le doti per trasmettere la sua indignazione. Avati è stavolta davvero molto bravo a superare gli steccati del suo manierismo matriarcale e a indicarci che le illusioni affettive possono essere compromesse da lacrime (spoiler 2) . La capacità del regista è di cogliere sia il distacco di Lino dalla sua "parziale" appartenenza (la moglie, non la famiglia di lei) sia quella che, nell'epilogo, appare per certi versi come un tardivo e - appunto - sconfinato rifiuto di quella famiglia di esserne parte integrante (spoiler 3) . A questo punto avrei potuto benissimo estrarre un'8, finalmente vinto da un film di Avati che segue la sua rotta tradizionale smussandone però gli angoli, e riuscendo ad essere finalmente persuasivo e profondo. Purtroppo anche "Una sconfinata giovinezza" è un film pieno di forzature, soprattutto quando tratta la malattia dell'Alzheimer e i suoi aspetti più interiori e drammatici. Per inciso, Bentivoglio non può passare da momenti di perdìta neurologica ad altri di improvvisa lucidità come se niente fosse (v. la memoria dell'amico appassionato di tabelline, le consapevoli crisi di pianto, la sovrabbondanza di logiche inverse in un contesto dove l'unica logica è l'interiorità di coloro che vivono questa malattia). E Francesca Neri come moglie rappresenta l'alter-ego del regista, illusa che "le cose si possono aggiustare" . E a dirla tutta, pessima psicologa pronta ad accudire il marito nel suo mondo fino a meritare - diciamo metaforicamente - di essere respinta o malmemata. In definitiva un buon film, con una prova d'attori notevole - Bentivoglio sarà pure antipatico ma pochi sanno recitare come lui, in Italia - ma sempre con quel disperato bisogno poetico del regista di mettere in ombra le più amare contraddizioni di una vita relativamente serena. (spoiler 4) E' quel bisogno di Pupi Avati di ritrovarsi, malgrado tutto, a perdersi all'ombra della separazione
(1) Gli zii che accolgono a braccia aperte il piccolo Lino alla fine lo lasceranno crescere in un orfanotrofio (2) Nella sequenza più bella, quando Lino è in sala d'attesa dopo l'incidente della moglie, la famiglia di lei lo ignora completamente (3) Malgrado il vago desiderio della donna di ritrovare Lino, il fratello la invita a lasciar perdere e partire in macchina con lei (4) Infatti alla fine lascia che Lino si perda nel suo passato, come se avesse fretta di liberarsi della sua irritante presenza/assenza