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IL DISCORSO DEL RE regia di Tom Hooper

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Invia una mail all'autore del commento pompiere     7 / 10  31/01/2011 16:07:39Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La recitazione di un personaggio schivo e titubante, fin nella parola, non è di per se' semplice. Colin Firth offre alla figura del duca di York (il futuro re Giorgio VI) una partecipazione emotiva senz'altro encomiabile, tuttavia non completamente condivisibile visti i premi ricevuti e quelli che ancora riscuoterà. Il difetto espressivo sembra quell'handicap così tanto amato da chi osserva le performance attoriali al punto da accompagnare il giudizio con un misto di accondiscendenza e pietà.
Di tutt'altra pasta è la brillante caratterizzazione, fornita da un superbo Geoffrey Rush, dell'esperto e originale logopedista di origini australiane Lionel Logue, che aiuta il duca ricorrendo più alla psicologia che all'esercizio muscolare. Dopotutto, ciò a cui deve far fronte il regnante sono i pomposi incarichi sovrani e le apparizioni pubbliche nei confronti di un paese sull'orlo della seconda guerra mondiale, bisognoso di lusinghe e speranze.

"Il discorso" abbina un'ironia lieve (le scene in stile "atelier teatrale" in presenza della Bonham Carter e di Rush sono le migliori) a una, a tratti faticosa, coerenza storica. Coesione che non manca quando si tratta di sottolineare il peso delle oppressioni in età da fanciullo e la freddezza règia subita dal povero Albert "Bertie" Frederick Arthur George Windsor.
Peccato che l'approfondimento duri poco e che il regista Tom Hooper passi presto "al servizio di sua Maestà", dimostrando quanto sia bravo nella direzione degli attori piuttosto che nelle disamine visive, ogni tanto sfuggenti al suo sguardo; fanno eccezione i microfoni, che diventano magnifici e intollerabili oggetti ansiogeni.

Nonostante la musica molto piacevole composta da Alexandre Desplat, che contribuisce a rendere scorrevole alcune scene, "The king's speech" risulta tuttavia tacciabile di inveterato voyeurismo (che succede nelle stanze dei piani nobili?) e finto permissivismo (gli americani, quei divorzisti…), e soffoca le intenzioni in una cronaca quasi fotoromanzata.
Prima di essere strangolati, però, è preferibile liberarsi. Per cui meglio dare sfogo alla sciolta eloquenza e a un istinto primario quanto utile, riscoprendo un discorso che non fa una grinza: *UCK, F*CK, FU*K, e FUCK.