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VISITOR Q regia di Takashi Miike

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oh dae-soo     7½ / 10  02/08/2010 19:59:16Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Si dice, e il tutto mi sembra plausibile e quasi ovvio, che se decidiamo di suicidarci ma non ci riusciamo, vuoi per un ripensamento nell'ultimo istante ( che non sarà più l' Ultimo) vuoi per essere in qualche modo sopravvissuti all'inumano gesto, si dice che da quel momento la nostra vita verrà apprezzata enormemente di più, e vissuta in un'ottica completamente diversa.
Visitor Q non è altro che la metafora di del tentato omicidio/suicidio di un'intera famiglia sventato grazie all'intervento di un esterno, il Visitatore, personificazione (forse) di una coscienza personale e collettiva finalmente venuta fuori.
La famiglia Yamakazi è completamente distrutta e snaturata. In un micidiale circolo di violenza e vizio ogni componente è in qualche modo legato all'altro soltanto attraveso legami aberranti, che siano percosse ( figlio alla madre), sesso ( padre alla figlia) indiffernza reciproca ( 2 adulti) e totale assenza di amore ( figlio-padre). Come dicevo siamo oramai sull'orlo del baratro e il suicidio familiare ( in realtà plurimo omicidio di uno con l'altro) è ormai ad un passo. Molte volte per svegliarsi si ha bisogno di un forte scossone, emotivo o fisico che sia. Questo scossone sarà rappresentato da un giovane ragazzo, il visitatore del titolo. Ed ecco che la madre, vera e propria ultima ruota del carro, diventerà al contrario figura letteralmente decisiva. Tutto il filo psicologico che regge il film è legato all'importanza della maternità. Quando il visitatore strizzerà i capezzoli della donna lasciando finalmente uscire la maternità (il latte) così a lungo represso negli anni, la donna capirà finalmente il suo ruolo e funzione. Acquisirà come una nuova aurea per la quale anche i suoi familiari, soltanto vedendola, sentiranno il bisogno primordiale e umano di legarsi a lei fino a sfociare nel finale in cui tutti e 3 ( due dal seno, uno nuotando nel latte materno caduto per terra) si nutriranno da essa. Tutte le scene immonde e squallide all'interno del film non sono altro che reificazioni di questa mancanza d'affetto, di questo distacco materno che colpisce i protagonisti. E l'atmosfera surreale è quella giusta per manifestare questa duratura perdita d'identità familiare, questo vivere nel mondo ma fuori di esso. Non mancano le scene sbagliate, su tutte l'omicidio dei teppistelli, che provoca in chi la vede un senso di irrealtà non provata prima, molto diverso dalla surrealtà sempre presente e imperante. Peccato, perchè malgrado l'incredibile accozzaglia di nefandezze ( omicidio, violenza, stupro, incesto, pedofilia, necrofilia, prostituzione, droga, etc..) presenti, il film di Miike presenta una sorprendente verosimiglianza, un senso di realtà, labile ma indissolubile. Grandissima come detto la forza metaforica, specie nel finale e nella scena dei pezzi del puzzle (usati dal visitatore a mo di briciole di Pollicino per portare la madre da lui, nella scena che culminerà con lo strizzamento dei capezzoli). Il puzzle sono i pezzi della famiglia da ricomporre e non a caso si fermano sulla foto della figlia da riconquistare e riportare a casa (abita e si prostituisce fuori casa), ritratta nel peccaminoso Morso della Mela.

Ottimo film , forse capolavoro, poetico nello squallore, come una lettera d'amore cosparsa di sangue e m.erda.