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FRATELLANZA - BROTHERHOOD regia di Nicolo Donato

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Invia una mail all'autore del commento LukeMC67     6½ / 10  05/07/2010 02:57:07Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Melodrammone in salsa nordica che cerca di coniugare il gelo scandinavo con le torride passioni mediterranee esattamente come cerca di far coniugare ai suoi protagonisti omosessualità latente con la scelta di rifiutarla aderendo a chi la combatte e la punisce attivamente. Risultato: se dal lato sentimentale l'obiettivo è centrato quasi shakespearianamente, la delusione è totale quanto al vero motivo di interesse del film, e cioè il rapporto tra fobia per il diverso e l'essere se stessi "diversi".

Il regista ha dichiarato di essersi ispirato a un documentario della tv danese; ecco, ammesso pure che la televisione in Danimarca sia di un livello qualitativo notevolmente superiore a quello dell'omologa italiana, sempre di televisione si tratta! E, difatti, la grande trappola nella quale Donato casca in pieno è quella di tratteggiare a suon di stereotipi proprio quell'ambiente neonazista che invece avrebbe meritato una ben più profonda analisi realistica.

Quanto al dramma umano dei protagonisti, sempre Donato ha affermato che voleva "mostrare il lato umano dei cattivi": il materiale c'era, sarebbe bastata la passione tra i protagonisti, resa così meravigliosamente dalla fisicità e dalla prossimità insistente e impietosa della cinepresa sui loro corpi. Ma, anche qui, l'ingranaggio non funziona: se lo spettatore è letteralmente inghiottito nella passione dei due, non altrettanto lo è in tutto ciò che accade "collateralmente", e che invece avrebbe dovuto essere il co-protagonista dell'intera vicenda.

Sempre Donato ha dichiarato di non aver voluto fare un film politico, né una copia di "Brockbake Mountain"... il problema è che se ambienti una storia di passione amorosa in un contesto di estremismo politico, non puoi poi sottrarti dal fare un film politico!! Si frustra così lo spettatore in maniera irrimediabile!!
Peccato davvero perché avrebbe potuto essere una notevole occasione per parlare di quell'omofobia che infesta anche il nostro Paese e che spessissimo è alimentata e praticata proprio da chi reprime con ogni mezzo le proprie spinte omoerotiche. Oppure, avrebbe potuto essere un viaggio al fondo del mondo neonazi europeo, alimentato da giovani impauriti, insoddisfatti e soprattutto senza alcuna prospettiva di futuro migliore rispetto a quello che i padri e i nonni hanno prima conquistato e poi goduto oltremisura.

Il film, però, non è da buttar via perché comunque funziona benissimo sul piano melodrammatico: da questo punto di vista riesce ad essere quasi shakespeariano, come dicevo sopra. Le straordinarie interpretazioni dei vari attori, che (si) mettono in gioco tutto quel che il fisico, la mimica facciale e gli sguardi possono comunicare, nonché lo stile "Dogma-attenuato" che Donato sceglie per fotografia e montaggio (alla produzione di questa pellicola c'è anche la Zoentropa di un certo signor Von Trier), restituiscono in pieno l'erotismo estremo che regna tra i due protagonisti: una fisicità talmente spinta che sembra quasi di poter sentire l'odore e le temperature dei corpi quando stanno per approcciarsi, mentre si abbandonano agli amplessi, quando si separano e quando si dilaniano (bellissima la sequenza della visita a sorpresa di Jimmy nella stalla dei genitori di Lars: un gioco straordinario di sguardi con una fugace quanto efficacissima incursione della macchina da presa sulle mani tremanti e sudaticce di Jimmy; per non parlare del primo, sofferto bacio sotto la doccia bollente o della furia punitiva che coglie Jimmy durante "l'esecuzione" di Lars).
Il tutto però è condito da troppi stereotipi e troppe citazioni (forse involontarie) del celebre film di Ang Lee, con tanto di pianto rotto sul corpo coperto di tumefazioni del compagno-carnefice...

Suo malgrado, quindi, il film finisce con l'essere ambiguissimo proprio sul piano ideologico, non approfondendo quel razzismo profondo che colpisce il gay Jimmy e i suoi compagni (più o meno) etero. Il finale aperto salva in parte il pasticcio lasciando volutamente sospese sull'orlo del baratro le esistenze di tutti i personaggi del film.

Nota particolare di merito all'attore che impersona Patrick, il fratello drogato del protagonista: il suo dramma di persona ferita dall'assenza di riferimenti "adulti" stabili e dal sentirsi (ed essere) continuamente tradito, "passano" molto più delle contorsioni emotive troppo razionalizzate dei protagonisti, i quali, ultima e definitiva ambiguità del film, finiscono con esprimerle attraverso il linguaggio più emotivo che c'è: quello degli occhi.
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  05/07/2010 14:45:15Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
In effetti io avrei voluto cambiare il voto, farlo alzare con almeno un 6... mi spiace che un film recitato così bene (condivido il personaggio del fratello è superlativo) finisca per appiattirsi - a volte con un qualunquismo di pessimo gusto visti i personaggi e l'ideologia che li descrive - proprio nella sua realtà più importanti. E' un film interessante sulla carta, ma sono diventato esigente: non può ridursi il tutto a una serie di immagini da culto gay-fetish per Internet, non so se mi spiego
Anche perchè come dici tu la realtà è davvero inquietante, v. Roma dove persistono spedizioni punitive omofobe nell'indifferenza generale
Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  05/07/2010 19:03:49Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Caro Luca, se il film fosse classificato nel genere erotico sarebbe perfetto: è una tragedia classica, shakespeariana, con un finale che trasgredisce i canoni del genere, completo di scene di sesso davvero belle e come mai erano state descritte tra uomini (ammetterai che passione e poesia si fondono davvero nel "virile" approccio di questi due personaggi, Ang Lee è lontano anni-luce, ma neanche la coppia Argentero-Favino era riuscita a tanto: non ho potuto evitare di commuovermi nel vederle e di ripensare a cosa ho provato nei momenti analoghi che ho avuto la fortuna di vivere).
Il problema è che il film pretendeva di volare molto più alto, troppo alto per le capacità esordienti del pur coraggioso (e talentuoso) regista italo-danese: fare un discorso sull'estrema destra montante nei democraticissimi Paesi del Nord-Europa attraverso l'analisi introspettiva del rapporto tra "diversità" e suo (auto)rifiuto, avrebbe richiesto il lavoro di un Signor Autore. Mi auguro che un giorno qualcuno lo faccia con pertinenza ed efficacia perché se ne sente davvero il bisogno, proprio per i motivi che abbiamo rilevato.

Una nota del tutto personale:


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