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VIVERE E MORIRE A LOS ANGELES regia di William Friedkin

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elio91     8½ / 10  19/08/2012 01:13:24Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Pensavo a varie cose che tra loro, detto cosi, centrano nulla: la tamarrissima musica anni '80 e gli spari in faccia. Ci pensavo sin dall'inizio di "To live and die", perché sono situazioni e ritmi ricorrenti e quasi ossessivi. Il film è ben connotato geograficamente e temporalmente: Los Angeles (titolo), anni '80 (musiche); non sono le didascalie che si limitano ad aggiornarci su giorno e ora a dircelo, badate bene. Perché senza quella musica, senza quel titolo, questo film che è a tutti gli effetti un evergreen potrebbe essere ambientato anche oggi; o magari, chissà, tra qualche anno. Una LA cosi deprimente, solare certo ma anche spietata, al cinema non si era mai vista.

Gli spari che maciullano un viso, dicevo inizialmente... certo, non è un caso che praticamente tutte le sequenze più violente e impressionanti abbiano questa dinamica che le rende uniche e ripetitive. Ha a che fare con l'ambiguità dell'identità, il "solito" cinema ambiguo e amorale di Friedkin. I ruoli non sono poi cosi distinti l'uno dall'altro, un poliziotto si comporta come un criminale all'occorrenza se deve attuare una vendetta privata, e il criminale ha attitudini artistiche e autodistruttive neanche troppo velate (i quadri bruciati, da lì capiamo grossomodo il suo finale...).
Nella trama gli agenti federali che lavorano in coppia si chiamano "gemelli". Come in Cruising dove l'identità sessuale e/o omicida di Pacino cadeva in un baratro inquietante di domande senza risposta, ancora una volta Friedkin pensa bene di giocare sul neanche tanto sottile tema della ripetizione, quasi la reincarnazione. In questo va a braccetto con un autore diversissimo come Polanski: il protagonista, ma dovremmo chiamarlo come un corpo unico essendo tutti i gemelli i protagonisti, diventano uguali al gemello "sacrificale", sono degli Abele che diventano Caino destinati a ripetere il circolo vizioso per quanto? per sempre?
Gli spari sul volto sono la cancellazione di QUELLA faccia che, come ne L'Esorcista, va a possedere un altro volto che poi verrà spappolato per poi possederne un altro... e di più non ci è dato sapere perché il film, fatalità, finisce. Ovvero, NON finisce perché solo nei film vecchiotti c'era l'inserimento di quella didascalia rassicurante (FINE) quasi a voler imprigionare il film stesso, come per timore che potesse altrimenti vivere di vita propria aspettandosi il pubblico che la vicenda non fosse finita. Ma l'ambiguità, il circolo vizioso del finale, non ha bisogno di una FINE essendo il cinema infinito. Sappiamo che tutto si ripeterà, ossessivamente, di nuovo.

Friedkin ha quindi diretto uno dei suoi lavori più belli con "Vivere e morire a LA"; un poliziesco non innovativo come lo fu il "Braccio violento della Legge", ma tesissimo e senza un attimo di respiro. Meglio ancora: documentatissimo, realistico, e amorale. Nessun indizio o ammiccamento su chi patteggiare in quanto il poliziotto pur non essendo corrotto è disposto a tutto pur di vendicarsi in forma strettamente privata. La questione è personale insomma. Ma non scatta la naturale identificazione di chi guarda, perché i comportamenti non sono quelli che uno ci si aspetterebbe. I personaggi tormentati di Friedkin sono grandiosi, non c'è nulla da fare...

Curioso notare come questa opera è stata già all'epoca della sua uscita un successo commerciale quando i lavori precedenti del regista, da L'Esorcista in poi (escluso), ebbero risultati non proprio eccezionali (ma sono stati rivalutati a ragione, essendo tutti film grandiosi a modo loro).
Ma il comparto tecnico anche in questo caso è eccellente, dal montaggio eccezionale allo stile di ripresa; Friedkin poi se la spassa a riprendere situazioni cui ha già lavorato in precedenza, inventando un altro inseguimento su automobili da annoverare tra i più mozzafiato di sempre. Ma anche le interpretazioni non sono da meno: Petersen è in forma smagliante con la sua spacconeria giovanile, Dafoe non si deve neanche sforzare più di tanto. Basta il suo volto diavolesco a renderlo di per sé terrificante e pericoloso.

Da trovare nei manuali di cinema sotto la voce: COME SI GIRA UN BUON POLIZIESCO. Ed è vero, cosi non ne fanno più...