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DILLINGER E' MORTO regia di Marco Ferreri

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Terry Malloy     8 / 10  30/07/2013 10:06:25Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
C'è sempre un certo disagio a guardare questi film d'estate, marciti sul divano, senza scopo e con la testa pesante, annebbiata dal sonno e dalle paranoie. Viene da chiedersi chi ce lo faccia fare di osservare le gesta anti-realistiche di un uomo che pulisce una pistola. Di assistere al difficile cinema anti-classico di Ferreri.
Eppure "Dillinger è morto" ha ancora qualcosa da dire allo spettatore assuefatto al brutto cinema anni '90. Certo, storiograficamente DEM è un film importantissimo. Senza, non avremmo avuto Taxi Driver, il cinema radicale e nuovo, di rottura col passato, che fu di Martin Scorsese. Senza, l'Italia non avrebbe rappresentanti di un certo cinema concettuale ed esistenzialista, un cinema minore, ma grandissimo. Qualcosa che costringa a pensare, senza dover essere impegnati alla logica del racconto classico. Era un film che si portava dentro il '68, il femminismo irruento, l'interpretazione di tutta una storia recente e passata del cinema, e il desiderio profondo di distaccarsene, con libertà e serietà.
Ma di Ferreri si apprezza anche altro: egli non era un tecnico, a detta dei suoi stessi collaboratori, non importava realizzare un film perfetto. Bisognava parlare, essere onesti, ricercare nuove forme di narrazione simbolica, che fossero forti, rimanessero nel tempo. La tecnica comprensibilmente veniva in secondo piano. C'era ammirazione per il perfezionismo di Kubrick, ma qui in Italia si lavorava con poco, e non c'erano effetti e personalità come quelle che si incontrarono in 2001. Di Ferreri però si apprezzava la cura per il dettaglio scenico, gli appartamenti in cui si muovono i personaggi folli di Ferreri sono specchio della loro personalità contorta, sono interni ed esterni, ma soprattutto armadi, pieni di vecchi oggetti, di vecchie carte, di vecchi simulacri. Assomigliano a tutta la paccottiglia che ci portiamo dentro, che accumuliamo in anni di informazioni sul mondo, di vissuti psicologici, di interiorità. Lo sceneggiatore di Ferreri disse: "Marco era uno che conosceva la vita, specialmente quella interiore". Pare una conferma questo vagare dell'uomo disperato e annullato per una casa surreale e aliena, pare una conferma questa profonda solitudine mitica, questa incapacità di affrontare la donna che è in noi. Ma il cinema di Ferreri non perdeva contatto con la realtà, neanche nella rappresentazione di soli finti e navi dirette ai tropici.