ULTRAVIOLENCE78 8 / 10 03/01/2009 16:53:03 » Rispondi Ancora una volta i fratelli Coen si prendono beffe dell’umanità circostante, facendo agire personaggi ridicoli, viscidi, opportunisti, animati esclusivamente dai propri interessi e tornaconti e cerebralmente appiattiti dalla “a-culturazione” massificante “par exellence”: la perniciosissima televisione, che ha contribuito all’affermazione, quale modello imperante da inseguire e agognare, il D.io Denaro. Ed è proprio quest’ultimo a mettere in moto la perversa macchina di eventi messa in scena dai Coen, la quale porterà alla perpetrazione di una sequela rocambolesca di efferatezze e omicidi, che nel loro aspetto grottesco rivelano un’umanità oramai assuefatta alla amoralità e alla violenza (concetto che si svilupperà nel successivo “Non è un paese per vecchi”): i misfatti vengono richiesti, compiuti e accettati con una tale agghiacciante naturalezza da lasciare sgomenti. Così come lascia sgomenta la presenza invadente della televisione che, con le sue obnubilanti trasmissioni, sembra fungere da anestetico nei confronti di soggetti incapaci, oramai, di discernere l’etica da ciò che è ingiusto, e di accettare passivamente un “modus vivendi” che non ha più niente di normale, e nel quale torturare e uccidere il prossimo per il vile denaro diventa ordinaria amministrazione. Il cinismo e il gelo che albergano e imperano in tali soggetti, inoltre, è esternamente rappresentato e manifestato dall’ambientazione (resa da inquadrature e da una fotografia superlative), dove il clima rigido del Minnesota si pone come il riflesso di una umanità fredda, raggelata/raggelante e quasi annoiata da una realtà nella quale il male si ripete ciclicamente e ossessivamente senza destare più alcun scalpore. E poco importa, a questo punto, se i fatti narrati sono veritieri –come viene sarcasticamente anticipato all’inizio- o fittizi –come invece viene rivelato al termine dei titoli di coda: si tratta comunque di fatti che, nella loro atipicità e originalità, si presentano come emblematicamente speculari alla deriva della moderna “civiltà”. Ma in questo scenario desolante qual è l’ancora di salvezza? L’ambiente famigliare ovattato e rasserenante di Margie, che si pone come contraltare a quello di Jerry Lundegaard dominato dalla ipocrisia? O anche Margie, il marito e il nascituro sono destinati all’autoannichilimento, come può lasciare presagire l’immagine che li ritrae nel letto intenti a parlare tra di loro ma con lo sguardo già perso nelle “illusioni generate dal tubo catodico”… Come al solito irresistibile il sarcasmo lucido e “velenoso” dei Coen che, a mio avviso, raggiunge il suo apice qui nella descrizione del ridicolo amico “ritrovato” di Margie, nel quale sembra riassumersi tragicomicamente l’alienazione e la solitudine dell’uomo moderno.