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I TRE VOLTI DELLA PAURA regia di Mario Bava

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Alpagueur     7 / 10  18/12/2020 14:04:26Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Qui vengono presentate tre storie: una favola vampiresca, un cadavere che torna in vita e un telefono che non smette mai di squillare. Il tutto con un avvolgente Boris Karloff come ospite. Il regista Mario Bava, con il padre Eugenio Bava, lo scultore di certi pezzi (cioè le due teste non viventi), formano una grande squadra, e anticipano il giorno in cui Lamberto Bava lavorerà con Mario (ci si chiede se Lamberto abbia un figlio per progetti futuri). Questo è il secondo film di Mario Bava supportato da una grande distribuzione oltreoceano attraverso la American International Pictures (A.I.P.) dopo "La ragazza che sapeva troppo", sempre del 1963. Alcune scene sono state ispirate dalla "Casa dei fantasmi" (1959) di William Castle, con alcuni scatti realizzati quasi esattamente. Un'inquadratura nella sequenza dell'episodio 'I Wurdulak' è un chiaro omaggio a "Nosferatu il vampiro" (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau. Mark Damon e Boris Karloff rendono il segmento finale il migliore, ed è più simile ai film di Roger Corman ispirati ai romanzi di Edgar Allan Poe, con un wurdulak (presumibilmente basato su una storia di Tolstoj). Questa storia di vampiri sarebbe stata poi rifatta come "La notte dei diavoli" nel 1972 (regia di Giorgio Ferroni). E in realtà, un wurdulak era apparso in precedenza già ne "Il vampiro dell'isola" del 1945 diretto da Mark Robson, sempre con la partecipazione di Boris Karloff. Questo è stato anche il terzo film A.I.P. per Mark Damon (Vladimir D'Urfe), dopo "I diavoli del Grand Prix" di Roger Corman. Il film ha un'influenza unica, avendo ispirato la band heavy metal con lo stesso nome (Black Sabbath), e quindi alla fine cambiando la storia della musica. Questo è stato anche il primo thriller italiano girato a colori (segmento "Il telefono"). La pellicola ha influenzato anche David Lynch, che ne ha reso un ovvio omaggio in "Fuoco cammina con me" (1992), prequel della serie di culto "I segreti di Twin Peaks" del 1990, scritto dallo stesso Lynch insieme a Mark Frost, sebbene la scena sia stata tagliata e possa essere vista solo nell'uscita del "Complete Mystery". Ha anche influenzato "Babadook" (2014) di Jennifer Kene e persino la struttura narrativa di "Pulp Fiction" (1994), di Quentin Tarantino (e molti altri sicuramente). Non si può fare a meno di notare le lenti colorate, non diversamente da quanto accade ne "La morte dall'occhio di cristallo", film del 1965 diretto da Daniel Haller, creando un vivido effetto Technicolor su pareti e volti. Poiché entrambi sono film A.I.P., è possibile che abbiano preso in prestito la tecnica di Bava. O, forse, la stessa persona ha lavorato su entrambi i film (non ne sono sicuro). Ci sono variazioni tra le versioni italiane e americane. La versione americana ha più introduzioni con Karloff, oltre al fatto ovviamente di ottenere la sua vera voce piuttosto che un doppiaggio. E c'è un cambiamento riguardo a ciò che esce da una busta: si tratta di scrittura a mano in inglese o di un ritaglio di giornale italiano? Se si dovesse scegliere, la versione americana è probabilmente leggermente migliore, sebbene entrambe abbiano i loro pregi. Riassumendo, dopo aver inaugurato la grande stagione dell'horror italiano con "La maschera del demonio" (1960), Mario Bava torna al genere con un trittico del brivido che abbraccia i principali filoni che il regista romano frequenterà nel corso della sua ventennale carriera, ovvero il thriller, l'horror gotico e l'horror psicologico. Tre episodi ambientati in altrettante epoche differenti, che gli offrono il pretesto per rappresentare sul grande schermo delle tematiche molto sentite da Poe: l'uomo che ha paura del proprio simile, ma anche del non-morto e della morte. Film forse un po' debole nel complesso, ma comunque buono, questo "Black Sabbath" (come è noto all'estero), sebbene la preceda come giorno della settimana, è un degno followup della "Black Sunday" ("La maschera del demonio" o "The Satan mask"). Le musiche, di Roberto Nicolosi ("La ragazza che sapeva troppo", La maschera del demonio"), non sono troppo coinvolgenti (devo dire che il figlio Lamberto, sotto questo punto di vista, ha saputo fare di molto ma molto meglio, rivolgendosi spesso a compositori fantastici come Simonetti, De Angelis, Boswell...non capisco perchè Mario abbia sottovalutato molto il costrutto sonoro nei suoi film, a parte qualche raro caso in cui si è rivolto a Cipriani).