caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

TOTO' CHE VISSE DUE VOLTE regia di Daniele Ciprì, Franco Maresco

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Invia una mail all'autore del commento Steppenwolf     9 / 10  04/04/2011 23:31:42Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quando ieri ho finalmente visto questo "piccolo" gioiello del cinema italiano, ho subito avuto la sensazione che la mia attesa fosse stata ben ricompensata dal valore di questo film.
E' anzitutto prioritario stabilire che si tratta di un film per certi versi disturbante e a tratti decisamente spiazzante, sia nelle scelte estetiche che nell'irruenza con cui sono state trattate le scabrose tematiche alla base della pellicola.
L'articolazione del film in tre episodi scandisce attraverso la struttura stessa l'assenza del sacro nel film, rappresentando in maniera piuttosto cruenta ed enfatica un mondo post-apocalittico(la città di Palermo diviene "sineddoticamente" emblema dell'intero mondo "civilizzato")popolato da un'umanità degradata, incapace di andare oltre i propri bisogni fisiologici. Ed è infatti il sesso il leitmotiv dei tre episodi: il protagonista del primo episodio, lo scemo del villaggio(perennemente intento all'autoerotismo), verrà infatti spinto a rubare per godere delle prestazioni di una bendisposta prostituta e ne pagherà le conseguenze;
nel secondo il sesso più che movente sarà invece strumento: protagonista dell'episodio sarà infatti un avido individuo che scopriremo aver sedotto a scopo di lucro il proprio amante, alla cui veglia funebre inizialmente deciderà di non partecipare per il timore d'essere bastonato dal fratello di lui e poi alla fine deciderà di andarci per impossessarsi dei beni materiali del defunto;
il terzo episodio, a mio avviso di gran lunga il migliore, è invece una rivisitazione della storia del Messia, del Salvatore, che si chiamerà infatti "Totò", che è anche il nome del boss mafioso locale. Il sesso in questa ultima storia assume un ruolo determinante: sarà per ottenere i favori di una prostituta di nome Maddalena(ricorda nulla?)che Giuda tradirà il Messia; e sarà proprio lo scemo di turno, bramoso di sesso(violenterà una gallina e profanerà una statua della *******), a pagarne le spese...
Insomma, anche da una descrizione così ristretta dei tre episodi, appare evidente lo squallore di fondo di questa umanità mostrataci dai talentuosi Ciprì e Maresco.
Lo stile, volutamente grottesco e surreale, oltre a ricordare in maniera piuttosto esplicita la finzione del racconto - in chiara opposizione ad uno stile realistico -, omaggia in maniera piuttosto evidente grandi classici del cinema surrealista, in particolar modo Bunuel.
Di Bunuel i due registi hanno acquisito non solo lo stile grottesco e surrealista, ma anche e soprattutto l'atteggiamento anti-religioso che sfocia spesso nella parodia(mi è sembrato di cogliere una facile citazione della celeberrima scena di Viridiana che ne ha causato tanta infamia)e, talvolta, nel comico, pur trattandosi di una comicità molto amara e in qualche modo dissipata dalla bruttezza che traspare da ogni inquadratura.
E' un film che molesta lo spettatore sin dal primo minuto(con quella che dovrebbe essere una citazione del precedente film dei due, Lo zio di Brooklyn, che ancora mi manca!), senza mai concedergli nulla(una concezione artistica a quanto pare cara anche allo stesso Zulawski, autore non così dissimile per tematiche e per "crudezza" stilistica), arrivando anche ad inserire scene difficilmente sopportabili e che hanno causato al film ben più di qualche parere negativo e delle accuse di gratuiticità.
E' fuori dubbio che gli autori abbiano volutamente esagerato peccando forse di qualche eccesso, però credo che tutto sommato rientri benissimo nell'intento poetico del film, quindi ribadisco la sostanziale sterilità di certe polemiche.
Le scelte stilistiche sicuramente non giustificano del tutto l'evidente compiacimento di qualche scena, ma a conti fatti uno stile più sobrio forse non avrebbe reso con altrettanto impeto(non forza!)la potenza di questo film... è un po' il discorso che si potrebbe fare in merito a film come "Salò" di Pasolini(mentre con Zulawski mi trovo io stesso in difficoltà per quel po' che ho visto).
Un paio di scene, come lo stupro dell'angelo e quella della copula con la statua della *******, sono sicuramente sopra le righe, ma costituiscono di sicuro dei momenti essenziali per il film.
Come dicevo all'inizio, sin dal concepimento strutturale, il film rispecchia benissimo l'assenza di un Dio, ormai morto, lontano, incapace di mantenere le proprie promesse di salvezza: all'idea del sacro è associata allora un semplice culto delle reliquie(vedere l'episodio di Paletta)e l'unica speranza di redenzione, che potrebbe essere incarnata dal Messia, è negata. Il Salvatore, emblematicamente interpretato dallo stesso attore che interpreta il boss mafioso del terzo episodio, è un autentico mascalzone completamente disinteressato alla salvezza dell'umanità ed incapace di trasmettere il proprio messaggio d'amore, condannato com'è alla carnalità.
Questa condanna del divino alla carnalità è rappresentata da un paio di scene molto divertenti: la prima è quella in cui l'angelo, una volta comparso, alza la mano apparentemente per benedire lo spettatore(sottolineando il processo metacinematografico compiuto da Ciprì e Maresco, evidente anche altrove), per poi portarsela allo stomaco, lasciandoci intendere il suo bisogno di defecare.
L'altra scena è quando vediamo Totò il messia alzare un braccio al cielo,grattandosi lo scroto con l'altra(in realtà mi sembra avvenga più di una volta!), segnalando un'ulteriore similitudine con il suo alter-ego, il boss Totò, che spesso si farà grattare gli zebedei dal suo fido uomo con il proprio bastone.
Insomma, vi è l'impossibilità di contemplare il Sacro e quandanche sembrerebbe esserci uno spiraglio di luce, intervengono i "mostri della civiltà" a soffocare questa soffusa speranza, come nella scena della sodomizzazione dell'angelo da parte di tre mostruosi energumeni(il quarto sarà lo scemo di turno).
Gli uomini sono semplicemente incapaci di andare oltre la stessa carnalità ed il mondo è completamente scosso da un caos morale che non consente la prefigurazione di un ordine etico che non sia quello pulsionale.
Tutti gli abitanti della post-apocalittica Palermo sono intenti a masturbarsi, a defecare e a depredare il prossimo senza alcun impedimento. Una bruttezza esteriore, quella dei personaggi che la popolano, equiparata solo da quella interiore che li rende incapaci di sentimenti nobili, spesso per demenza, altre volte per puro egoismo ed avidità.
La morte della speranza è allora il concetto essenziale del film: la speranza di soddisfare i propri impulsi sessuali non appagherà certo il povero Paletta, che finirà letteralmente crocifisso(in varie scene vediamo un parallelo con lo stesso Cristo)come ladrone buono; nel secondo episodio, l'amore "omosessuale"(in questo film è difficile delineare l'omosessualità in maniera precisa!)che potrebbe costituire l'unica componente salvifica in una visione così desolante, rivelerà alla fine anche la sua vera natura, non certo nobile e disinteressata, ma al contrario vile ed egoistica(il senso di degrado morale è reso dall'invasione dei topi, che però è un elemento che personalmente avrei anche estirpato come rischioso ai sensi dell'economia del film stesso); nel terzo episodio il Messia non morirà facendosi carico dei peccati dell'Umanità, ma a causa di un regolamento di conti. Il boss "suo doppio" aveva infatti sciolto nell'acido l'irrequieto Lazzaro che, una volta risorto dai morti(grazie all'intervento del Messia), scatenerà per vendetta una serie di efferati delitti, correndo come un pazzo furioso gridando vendetta(anche nell'ultima scena). Venuto a sapere da Giuda che Totò il Messia è stato la causa di tutti i suoi mali, il "Don" lo eliminerà gettandolo nell'acido.
Dunque, paradossalmente, in croce finirà lo scemo del villaggio, che finirà a fare compagnia ai due ladroni protagonisti degli episodi precedenti, mentre le donne ai piedi della croce stenteranno a riconoscerlo.
Il quadro è completo, non vi è possibilità di Redenzione, nessun Cristo è morto per noi in croce e l'umanità è incapace di acquisire un senso morale: morente sulla croce ci sarà il sorridente scemo che continuerà a pronunciare il nome di Liuccia(la gallina che aveva tentato di "possedere")e il film si chiude con Lazzaro, ancora furioso, che corre ai piedi della croce cercando vendetta.
L'evidente citazione de "La Ricotta" di Pasolini è però ribaltata da un finale pessimistico e grottesco.
La marcata artificialità degli elementi filmici è evidente da moltissimi dettagli, come la recitazione che, memore di quella dei film pasoliniani, contempla attori da strada, non professionisti, ma non per una resa realistica, ma, ribaltando il concetto, proprio per ottenere un effetto straniante: vedove e vecchie madri saranno interpretate da soli attori maschili(spesso con tanto di barba)e le stesse prostitute che tutti attendono con ansia, non sono altro che uomini privi d'ogni senso del femminile(al contrario di quanto avveniva nel teatro shakespeariano).
L'assenza del femminile è infatti una delle scelte più particolari ed estreme del film. Assenza non equivalente all'assenza di sessualità(presente in forme molto differenti, invece), ma indicante una totale mancanza di grazia da una parte(tutti i personaggi sono quasi disgustosi, peggio dei Freak di Browning)e l'assenza di vitalità dall'altra.
L'umanità di Ciprì e Maresco è privata del femminile in quanto simbolo della vitalità, della riproduttività. I derelitti del film, dementi o savi che siano(ma non meno mostruosi), sono condannati dunque ad una situazione di staticità, di antemporalità, quasi(evidenziata dall'andamento quasi anti-narrativo del film). L'impossibilità di contemplare il femminile palesa dunque questa dimensione a-storica, questa esclusione dell'umanità dal ciclo riproduttivo, quasi come se il genere umano fosse costituito soltanto da degenerati e da scherzi della natura.