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LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO regia di Pupi Avati

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     8 / 10  14/07/2014 13:49:45Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il primo thriller/horror di Pupi Avati è un lavoro splendidamente imperniato su atmosfere inquietanti e malsane.
L'ambientazione è quella dalla bassa padana, un luogo in cui il legame con la terra e con le proprie tradizioni è presentato come solido e poco ricettivo nei confronti del mondo esterno. Gli abitanti vivono in un microcosmo agreste scandito dallo scorrere delle stagioni in cui è preferibile non dar troppo fiato alla bocca.
Qui capita un restauratore incaricato di recuperare alcune opere di un pittore del posto morto suicida anni prima, considerato un po' da tutti come personaggio poco raccomandabile soprattutto per il tema dei soggetti da lui ritratti, ovvero persone in fin di vita o agonizzanti.
Avati per il personaggio dell'artista maledetto probabilmente si ispira ad Antonio Ligabue -pittore di inizio '900 considerato folle- per poi costruire una storia di sangue, misteri sussurrati e legami famigliari debosciati. Nella provincia omertosa il regista fornisce una versione di comunità piuttosto retrograda e chiusa, in cui l'elemento forestiero non è ben accetto, soprattutto se il suo arrivo coincide con la riesumazioni di ricordi che è bene restino sepolti.
Gli enigmi vengono dipanati seguendo ritmi blandi, l'andatura è controllata e ciò favorisce uno sviluppo accorto dei fatti oltre una definizione di buon spessore dei personaggi. La scene sanguinose sono centellinate ma significative, il finale è tra i migliori mai escogitati nel filone del cinema di paura italiano. Gli scenari naturali sono davvero inquietanti, li si potrebbe accostareagli sfondi dei romanzi di Eraldo Baldini o a pellicole come l'interessante mockumentary "Road to L".
Avati utilizza bene lo stereotipo dello straniero vittima della piccola comunità isolata, facendone un nemico involontario di quel fragile e crudele mondo.