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LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO regia di Pupi Avati

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amterme63     7 / 10  22/12/2007 17:25:09Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mi trovo sempre in grossa difficoltà nel commentare i film dell’orrore; non so mai con che metro giudicarli. Presumo che molti ci provino soddisfazione o piacere nel sentimento della paura, oppure nella semplice curiosità di vedere e provare sulla pelle qualcosa di macabro e forte. Purtroppo io non ho nel mio DNA questo tipo di piacere. Per me queste visioni sono sempre un tormento e una pena e esco dalle visioni letteralmente madido di sudore. Ultimamente però mi sono sforzato di tenere sotto controllo queste sensazioni e di cercare di guardare con distacco le immagini, sentendole come qualcosa di fittizio e simbolico, evitando di identificarmi nei personaggi. Guardando attraverso le immagini orripilanti si riesce così a cogliere alcuni universali della natura e della società umana, almeno è questo che io cerco nei film dell’orrore.
Questo film di Avati cerca di essere piacevole e istruttivo allo stesso tempo, ci si avvicina ma non riesce a convincere del tutto, secondo me. Non manca la tensione, il contorno di fatti strani, case inquietanti, rumori, presenze misteriose, morti accidentali, verità nascoste orripilanti. Si tenta una specie di crescendo ma viene spesso interrotto da intermezzi sentimentali o interlocutori di natura realistica, che vogliono quasi suggerire che la paura fine a se stessa non è lo scopo del film.
Molta cura viene data nella descrizione dell’ambiente in cui agiscono i personaggi (l’elemento che lega questo film con i seguenti di Avati). Il paesino della Bassa Ferrarese (Comacchio) e il paesaggio circostante è tratteggiato con attenzione e ne viene messo in rilievo l’aspetto arcano, immutabile, fuori dal mondo, come se il passato continuasse a essere presente, nonostante le modernità. Lo sfondo della storia è quindi il senso di comunità chiusa e gelosa verso gli estranei, disposta a tollerare la follia pur di non mutare e rinnegare se stessa. Tutto, anche le istituzioni (carabinieri, chiesa) partecipano a questa complicità e omertà collettiva. Purtroppo non si riesce a approfondire e a spiegare a fondo questo atteggiamento, molti personaggi sono solo presentati ma non spiegati nel loro comportamento. Molti passaggi e particolari della storia sono tra l’altro piuttosto inverosimili e contraddicono all’esigenza di realismo del film.
Il mezzo stilistico è quello classico del protagonista razionale, ben disposto, aperto a tutto, il quale si fa affascinare dagli aspetti morbosi e folli dell’animo umano, cerca di approfondirli rimanendo impelagato e ossessionato e alla fine pure distrutto dalla propria curiosità. Lino Capolicchio è un attore perfetto per questa parte; devo dire che l’ho ammirato tantissimo ed è senz’altro la cosa che mi è piaciuta di più del film.