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E.T. L'EXTRATERRESTRE regia di Steven Spielberg

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amterme63     8½ / 10  02/05/2010 23:05:03Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La sindrome di Peter Pan è molto più diffusa di quanto si pensi. Sicuramente Steven Spielberg ne era affetto e in ogni caso con ET l'ha rappresentata veramente bene, con grande pathos e convinzione. In film in sé può essere considerato un capolavoro, proprio per la corrispondenza di intensità/realtà/concretezza di sentimento e perfezione/bellezza delle immagini. Non è un capolavoro solo per alcune scelte di sceneggiatura che rivelano come il tutto sia stato a volte un po' troppo preordinato, che si sia voluto "catturare" lo spettatore, considerarlo come una macchinetta che reagisce automaticamente a certi "stimoli", mostrando una interessata e malcelata "captatio benevolentiae".

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Ma non è solo questione di patologia umana, è qualcosa di più universale. Questo film, ad esempio, sarebbe piaciuto immensamente a Jean Jacques Rousseau, come pure a tutti quelli che hanno idealizzato l'infanzia, trasfigurandola pure a livello sociale e filosofico (il buon selvaggio, lo stato di natura pre-civile pieno di virtù).
Il film segue esattamente questa linea di pensiero, creando una divisione netta e consapevole fra mondo infantile (semplice, ingenuo, sentimentale, "eroico", genuino) e il mondo degli adulti (freddo, distaccato, raziocinante, scettico, "distruttivo"). Una divisione che si traduce soprattutto in messaggi visivi (il mondo degli adulti è visto sempre ad altezza di bimbo, in maniera parziale e quasi sempre minacciosa). L'universo infantile in qualche maniera viene fatto "vincere" e trionfare su quello degli adulti.
Il sogno e l'immaginazione hanno la meglio quindi su tutto e in qualche maniera questo film ci fa venire proprio voglia di tornare a rivivere l'infanzia, quell'età libera da quella vessante sensazione che si chiama "responsabilità", in cui ci sentivamo tranquilli e liberi di immaginare, di sognare e far diventare vera ogni cosa.
Di suo Spielberg ci mette anche la "bontà" e la purezza di sentimento come "distintivo" di questo tipo di infanzia, la quale purtroppo non è concessa a tutte le infanzie di questo mondo (a quelle degli ambienti poveri e degradati viene molto meno spontanea, anche se Chaplin con il Monello ci ha dimostrato che "nonostante" l'ambiente si possono provare forti sentimenti e legami affettivi).
Forse senza volerlo, i film di Spielberg ci svelano indirettamente lo stato dell'istituzione "famiglia" negli Stati Uniti. Agli inizi degli anni '80 è rappresentata come un'istituzione ancora vitale ma con tanti problemi; il principale è il diffuso fallimento dell'identificazione fra istituto formale e amore fra due persone. I bambini in qualche maniera vivono sulla propria pella lo shock di rapporto finito male, che sia un divorzio, una separazione oppure una convivenza forzata difficilissima. Spielberg stesso ha ammesso di avere portato nel film tutto il suo dolore di bambino cresciuto in una famiglia divisa.
Altro aspetto che salta all'occhio di queste famiglie è la sovrabbondanza di oggetti; i bambini sono letteralmente sommersi di giochi, di svago, di cibo. Poi il caos e il disordine che sembrano regnare sovrani. C'è quindi un'infanzia reale che fa capolino nel film e che non è per nulla rosea, "buona" o positiva. I bimbi dei primi anni '80 sono cresciuti in mezzo agli oggetti e all'abbondanza e se la sono portata dietro anche da adulti, con un atteggiamento circospetto e impaurito al pensiero di poterla perdere o condividere con altri. I "buoni" sentimenti sono andati a farsi friggere mentre hanno prevalso istinti di preclusione e gusti "distruttivi" (la cultura del clan, il pregiudizio, il senso di superiorità, la voglia di sopraffare espressa con l'horror e il metal).
Povero ET, tornasse sulla terra oggi difficilmente troverebbe qualcuno che lo tratti in quella maniera. Chissà forse mi sto sbagliando, forse sto vedendo le cose in maniera troppo pessimista e "dark".