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REPULSION regia di Roman Polanski

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amterme63     8½ / 10  11/12/2010 18:49:32Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Repulsion" è da annoverarsi fra i migliori film che rappresentano la malattia mentale. Lo fa da un punto di vista non spettacolare o effettistico, ma in maniera distaccata, neutra. Non di meno però riesce ad angosciare e a colpire lo spettatore e può essere considerato a tutti gli effetti un film dell'inquietudine.
Oltre a questo tema, entra anche quello del degrado delle relazioni interumane nell'età borghese moderna. Infine partecipa alla temperie culturale del tempo in cui fu girato (metà anni '60, anni di fulgore dell'esistenzialismo) e dà un ritratto amaro e sconsolato dell'esistenza umana (dominata da incomunicabilità, solitudine, vuoto, superficialità, morbosità, frivolezza, noia). Il problema è universale, sia che lo si guardi nella Polonia comunista ("Il coltello nell'acqua") o nell'Inghilterra borghese e opulenta dell'epoca beat.
I protagonisti del film sono due: l'occhio della cinepresa e Carol (Catherine Deneuve), l'oggetto di attenzione quasi esclusiva del primo protagonista. E l'occhio è anche il primo oggetto che viene inquadrato in un particolare e straniante primissimo piano.
Nella prima parte del film assistiamo ad un pedinamento ossessivo da parte dell'occhio filmico di tutto quello che fa Carol. Ancora una volta non si può fare a meno di notare l'immensa bravura di Polanski che sa dirigere alla perfezione questo occhio: a volte si muove con riprese a spalla, a volte sta fermo e guarda distaccato da lontano, a volte si sofferma su certi oggetti (un rasoio, un coniglio scuoiato, delle patate) e ce li presenta sotto una luce inquietante, con un iperrealismo che sfocia nell'allucinato.
Per tutta questa prima parte si crea un'atmosfera sospesa, di preparazione a qualcosa di terribile. Carol è chiaramente affetta da isteria, da una fobia ossessiva verso il sessuale e il materiale e come tutti i malati non riesce a distinguere chi la vuole danneggiare da chi la vuole aiutare. Il mondo esterno appare come una massa indistinta, indifferente, estranea e nauseante.
A differenza di "Il coltello nell'acqua", stavolta la suspense si scioglie. Nella seconda parte l'atmosfera cambia. L'occhio si sdoppia e si fa soggettivo. Continua a tenere però un atteggiamento distaccato, solo che ora documenta impassibile la percezione distorta e folle di Carol. Questo atteggiamento porta ad una specie di cortocircuito della riproduzione fattuale: realtà o immaginazione? Questa sottile incertezza, l'incapacità di distinguere nettamente l'uno e l'altra, s'insinua pure nello spettatore. Gli oggetti "neutri" assumono aspetti ancora più inquietanti (il coniglio in putrefazione invaso da mosche, le patate vizze e marce, il mondo esterno a due passi eppure distante e indifferente). Carol "vede" amanti rozzi che la violentano, i muri che crepano o il soffitto che si schiaccia sul letto, mani che spuntano dalle pareti e la toccano. Viene evitata la drammaticità, il tutto si svolge in maniera distaccata eppure inquietante e terribile per lo spettatore. "Repulsion" è un horror freddo.
Il mondo esterno è rappresentato in una maniera che dà quasi ragione a Carol. Effettivamente i rapporti fra le persone sono di natura quasi esclusivamente esteriore e materiale (sesso o soldi). Indifferenza e voyeurismo sono poi gli unici sentimenti che ci si può aspettare dai "vicini" (che parola ironica!) di casa. La "malattia" evidentemente è molto più diffusa di quanto si creda. E' questo il messaggio del finale aperto.
Se c'è una cosa che non mi ha convinto del tutto è forse l'interpretazione di Catherine Deneuve. La sua parte prevede straniamento, indifferenza, assenza e quindi non deve assumere una grande varietà di atteggiamenti. Nonostante ciò ha quasi sempre un'unica espressione un po' beota e delicata che stride un po' con la crudezza e la serietà di ciò prova o di ciò che fa. Mi sarei aspettato un po' più di angoscia e dolore. Evidentemente Polanski non voleva assolutamente che ci fosse in Carol alcun sentimento "coinvolgente", che potesse disturbare l'impassibile e distaccato ritratto di un disfacimento mentale e sociale. Solo che la Deneuve ha preso il tutto troppo alla lettera. Il resto invece è perfetto.