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LE ONDE DEL DESTINO regia di Lars Von Trier

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Woodman     9½ / 10  17/08/2013 12:11:02Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Oramai ognuno si è sbizzarrito a valutare questo film, di cui tutti hanno detto (quasi) tutto, muovendo grande empatia e sensibilità verso l'opera che ha lanciato il regista a livello planetario.
Ed è risaputo ormai quanto affascinante, conturbante, provocatore e pericoloso sia quel pazzo furente del Von Trier.
Un artista davvero grande, forse l'unico, oggi come oggi, capace di fare di tutto, con due cog.lioni così, con un mare di cose da dire, di idee da porre, di nichilismo da condividere, di pessimismo cosmico venato di disperato erotismo, che trova il suo apice tutto europeo e struggente nel romantico opus "Melancholia", wagneriano e spiazzante affresco sulla depressione che ci cammina dentro mentre la terra carica di superficialità e futilità viene meritatamente distrutta per sempre.
Un artista capace di sfornare una provocazione mai vista con "Antichrist", controversissima pellicola che sbatte oscenità e furore sui corpi inutili e provati di Defoe e Gainsbourg.
Un artista che non ha mai smesso di turbare e fare riflettere con provocazioni ancora più crescenti, sempre più inarrestabile. Alla lunga può suonare gratuito, furbetto, compiaciuto e sadicamente presuntuoso. Indubbiamente.

Ma quel suo "Le onde del destino", quel suo primo capolavoro riconosciuto, resta di fatto un picco impossibile da trascurare nell'ambito del cinema d'essai. E non solo. Un film cui il titolo effimero di "classico" starebbe anche bene, tanto è asciutta la prosa, la narrazione tremante da steady cam che il disperato regista ci offre. Propone la storia di Bess, ingenua e vulnerabile ragazza, timorata figlia e sorella, curiosa bambina eterna, innamorata perdutamente di un forestiero di dubbia moralità in una Scozia calvinista autoritaria e bigotta.
Sono gli anni '70. E Bess soffre. Decisa a redimere il suo amato Jan dalla tremenda condizione fisica in cui si è ritrovato dopo un grave incidente su una piattaforma, si cimenta nella squallida arte della prostituzione, quella più feroce e vuota, per volere del suo amore.
Le sue avventure perverse la porteranno alla morte, mentre il laido rinsavisce grazie ai resoconti delle stupidaggini da lei commesse.
Forse, come le dice anche la sorella, Bess era proprio stupida. Sì, non ci è nemmeno presentata come positiva, non è un bel personaggio, è fin troppo fragile, condizionabile, ottusa, testarda e puerile, di un'irritante ingenuità. Stupida e masochista, folle e ossessionata.
Un personaggio così negativo circondato da una schiera di figure messe addirittura peggio: Il suo operaio pisellone che si rivela un egoista malato di sesso, la madre autoritaria e spietata, la sorella compassionevole incapace di controllare la situazione, esercito di preti, vescovi e simili al servizio del pazzesco ordine calvinista, bambini imbecilli, amici caotici, perversi mascherati.
Un incubo gelido e sgranato, un film autoriale dal tipico gusto anni '90.
Non un pugno soltanto, ma una raffica, una scarica violenta.
La sconfortante realtà che ci presenta il regista aleggia in un'atmosfera plumbea e stoica, nebbiosa e celestiale, sospesa fra la terrena oscenità e il regno dei cieli duro ma giusto, vale a dire un confine che si scopre via via essere sempre più sottile. Cos'è richiesto a Bess per ottenere ciò che vuole? Una lenta agonia senza ritorno, un viaggio lento e ancestrale verso i binari della follia e della morte. Un vero e proprio sacrificio. Sì, Bess è un docile agnellino sacrificale.
La salvazione avviene.
Jan ricomincia a vivere, le campane, finalmente, suonano.
Dopo un simile affresco non si può restare indifferenti.
Il disgusto mostrato è proporzionale all'intelligenza tecnica, la psicologia e lo scavo dei personaggi sono costruiti con sapienza e con il solito, indispensabile ermetismo, con la solita visione drammatica dell'incomunicabilità che fa apparire grandi certi registi martoriati dalla vita e dall'esperienza.

E, per una volta, un plauso ai traduttori italiani, per aver reso il titolo così suggestivo e definitivo, malinconico.

Una grande opera, cinema d'autore al suo massimo, espressionismo europeo filtrato dalla camera a spalla, ricchezza di contenuti esplicitati senza censure, interpretazioni superbe, spicca ovviamente la candidata all'Oscar Emily Watson, d'un metodo e d'una sensibilità impressionanti. La doppia la brava Chiara Colizzi.

Non si è davanti ad un prodotto adatto ad una sola parte di pubblico, o perlomeno, che non ti sentiresti di consigliare a persone scelte.
"Le onde del destino" è il capolavoro di Lars Von Trier, una Bibbia capovolta, una profezia costruita su apparenti contraddizioni, una riscrittura di ciò che si considera intoccabile.
E va visto, almeno una volta, da tutti.
Perchè tutti possano stupirsi, affascinarsi, arrabbiarsi, contestare, condividere, rattristarsi, riflettere.
Von Trier, a mio parere, non ha più eguagliato la grandezza mistica di questo suo primo successo mondiale ("Melancholia" costituisce un discorso a parte).

Da non perdere.