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AMNESIA regia di Gabriele Salvatores

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Invia una mail all'autore del commento Zazzauser     6 / 10  27/11/2010 13:55:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
All'interno della filmografia di Salvatores è di sicuro uno dei più deboli. Siamo lontani anni luce dalle sue opere maestre degli anni '90 (Marrakech Express, Mediterraneo, Turné). La scelta di dividere in due tronconi la storia sortisce l'effetto di creare, nel complesso, una forte sensazione di disomogeneità: l'intenzione è quella di di proporre un'emulazione dello stile dei drammi "corali" di Inarritu (storie intrecciate ed in qualche maniera collegate, montaggio funzionale alla narrazione, fotografia spesso cromaticamente virata - giallo, rosso, blu ecc.), ma tutto va a farsi benedire: non si riesce ad invididuare un anello di congiunzione, un fil rouge fra le vicende ed i personaggi, che oltretutto vengono appena abbozzati in rapporto allo scavo psicologico che si poteva operare. La forma quindi è già di per sé debole, ed i contenuti non riescono a compensarne le lacune: la sceneggiatura è confusa e non sa che direzione prendere, la prima parte sembra una delle classiche commedie drammatiche mediterranee di Salvatores, dove il dramma dell'incomunicabilità fra padre e figlia si intreccia ad Angelino ed alla sua voglia di scappare dai problemi e costruirsi una vita migliore. La seconda diventa dannatamente più seria fino a sconfinare nel dramma psicologico: alla devastante e gratuita crudeltà del rapporto padre poliziotto e figlio tossico (che è in assoluto lo spezzone trattato con più pochezza) si interseca un'epilogo che sembra uscito da un film pulp di Tarantino misto ad un drug movie alla DePalma.
Eppure a ben guardare non è un film povero. Il nome della discoteca, Amnèsia, il luogo dove in un certo qual modo si intersecano i destini dei personaggi, esemplifica la voglia di oblio, il desiderio di dimenticare il dolore della vita: stordendosi con qualche droga, magari. "Let me take you down 'cause i'm going to Strawberry Fields, nothing is real...", dice il personaggio di Ian McNeice nel momento della sua morte. Curioso che la stessa canzone reciti poi, in maniera molto più esplicativa, così: "living is easy with eyes closed, misunderstanding all you see".
Ma è tutto materiale sprecato in un linguaggio narrativo cinematografico farraginoso e nebuloso che si risolve in un finale buonista e moralista assolutamente ridicolo. Appena sufficiente.