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GREEN ZONE regia di Paul Greengrass

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jack_torrence     6 / 10  14/04/2010 16:23:28Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Greengrass è stato forse il primo a fare uso di uno stile (che, messo a punto, non ha più rimodulato) fondato quasi esclusivamente su: mdp a mano, movimenti di macchina "sporchi" e frenetici, zoomate improvvise.
E' uno stile "dentro all'azione" che, prima, vedevamo solo in certi film d'autore, e appariva "semi-documentaristico".
Del documentario, di cui questo stile vuole essere una raffinata imitazione, viene presa la mobilità del punto di vista di un soggetto (l'operatore; l'occhio) che rinuncia alla centralità di un set costruito intorno a lui, ma vuole essere "in più" sulla scena, esattamente come accade al reporter le cui immagini "rubate" vengono poi inserite in un documentario.
Si tratta di una raffinata finzione, come dicevo, che ha il duplice scopo di portare lo spettatore in mezzo all'azione con particolare efficacia (si ha la sensazione di poter quasi percepire il calore e gli odori), e di restituire la sensazione del caos: la realtà descritta da Greengrass è sempre caotica, labirintica, con una verità e un senso sempre sfuggenti.
Caotica e quasi inconoscibile è la situazione dell'Irlanda del nord in "Bloody Sunday", quella dei misteri dell'11 settembre in "United 93", quella di Bourne, e - qui - quella dell'Iraq appena messo a ferro e fuoco dalle truppe USA.

Lo stile di Greengrass è oggi ampiamente utilizzato da altri registi: insomma è una formula che ha avuto fortuna. E già è stato applicato all'Iraq (da K. Bigelow in "The hurt locker" a R. Scott in "Nessuna verità; ma prima ancora da Gaghan in "Syriana", probabilmente il migliore fra questi film citati). Ovviamente, Greengrass ha in qualche modo il marchio di fabbrica del proprio stile come poc'anzi descritto; gli altri ne utilizzano una versione oggi ampiamente diffusa, che declinano con sfumature diverse e in modo spesso comunque personale.

Se ho dedicato tanta attenzione allo stile è perché ritengo che l'interesse di questo film ruota per gran parte intorno allo stile adottato.
Il fatto che però lo stile di Greengrass si sia ormai ampiamente diffuso, unitamente al fatto che non sia cambiato di una virgola, limitano a mio avviso l'importanza della pellicola.
In qualche modo, su "Green zone", c'è da dire relativamente allo stile quanto occorre dire relativamente al soggetto: la verità sul "falso" relativa alle armi di distruzione di massa è un fatto storico (già quando era attualità, si dubitava si trattasse di un falso). Di conseguenza, l'intero impianto di una "verità sfuggente" attorno al personaggio di Roy Miller interpretato da Matt Damon, è un impianto assai poco sfuggente.
Lo spettatore non vive insieme al protagonista lo stesso spaesamento e la stessa vertigine di (non)senso: si tratta di una rievocazione, cui manca la forza della rivelazione.

Sinteticamente, per il resto, il film è un buon esempio di cinema bellico d'azione, più vicino ai film di Bourne che a "Bloody sunday" o "United 93".
Infatti, l'interesse a costruire una storia di fiction e di intrattenimento (per quanto a partire da un contesto reale e nella fedeltà agli eventi storici di base) prevale sulla necessità di denuncia, sulla volontà di svelare, non tanto la "reale verità" (come accade qui), quanto l'abisso di ambiguità - quasi insondabile - celato dietro la superficie della non-verità ufficiale.

Motivo per cui, dopo un'ora di film, l'evolversi della storia si segue con meno interesse di quanto ne aveva destato la sua ambientazione: insomma la narrazione è molto meno interessante della descrizione. Forse la causa sta proprio nei limiti dell'impianto - su di un tessuto storico reale - di una vicenda di fiction in se stessa piuttosto "povera".
ferro84  14/04/2010 18:11:32Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Penso che uno stile non possa adattarsi all'intero film.
Concordo sul fatto che la telecamera a mano dia sicuramente più il senso dell'azione nello stesso tempo però bisognerebbe saper alternare le scene dove questa è necessaria e dove no.
Ad esempio nelle scene interne che senso ha zoomare su un personaggio che sta parlando?
Si crea un caos visivo che distoglie l'attenzione da ciò che si dice, quindi è uno stile sicuramente più adatto agli action movie fini a se stessi.

Io penso che debba essere una tecnica da utlizzare dove necessario e non sempre e comunque per partito preso.

Oltretutto per film visti in sala sullo schermo grande uno stile simile può essere decisamente molto fastidioso se tutto il film è così (io non sono riuscito a godermi il film per esempio)
jack_torrence  15/04/2010 00:58:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Personalmente debbo dire che questo stile non mi crea gli stessi problemi che crea a te, quanto a fruizione; però comprendo e accetto la tua notazione, validissima in quanto problema di fruizione.
Posso dirti che però non noto su di me problemi a seguire i dialoghi, anche con la mdp ballerina: riesco a fruirli altrettanto bene che con macchina statica.
Se ha scelto questo stile, con coerenza lo mantiene tutto il film, non so se passare a riprese convenzionali di botto sarebbe convincente.
Potrebbe limitare i movimenti, però questo mi pare un po' lo faccia. Negli interni mi pare non ci siano movimenti vertiginosi di macchina, se non per raccordare senza stacchi un controcampo.
Altro il discorso sull'evoluzione del...registro del regista.
Se Von Trier avesse persistito con Dogma tutta la vita non avrebbe fatto le scelte coraggiose che ha fatto, checché se ne pensi di lui si rimette in gioco molto spesso: che è quello che un Greengrass non fa :)
Ciao,
S.