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BRIGHT STAR regia di Jane Campion

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7 / 10  12/06/2010 00:43:27Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il film del ritorno di Jane Champion è - sulla carta - poco meno che bellissimo, eppure ancora una volta non sfugge allo spettatore l'immagine di una cineasta che attende pazientemente dal suo pubblico applausi a scena aperta (...).
Inizialmente la neozelandese ricalca la mano, con un approccio metaforico, alla sublimazione e alla sofferenza dell'arte, e in quei drappi strappati da Fanny c'è davvero molto del cordone ombelicale che lega Ada (cfr. Lezioni di piano) al supporto oggettivo della sua musica.
Ma poi tutto il legame che si crea tra la prosa di John Keats e l'amore come atto di devozione totale mi sembra francamente semplicistico e pretestuoso.
La musa ispiratrice o il poeta come Musa? Nel gioco delle parti, uno spiantato simpaticamente "anarchico" finisce per stabilire un contatto sempre più stretto e nobile (non proprio materialista ma quasi) con la resa "borghese" dei sentimenti di massa.
Lo stile della regista è quasi crepuscolare, per non dire intimista, cercando - attraverso una narrazione rigorosa - di ricreare intensità nella ricerca quasi reverenziale di questa donna anche nell'umiltà delle sue "lezioni di poesia".
Il tutto è ovviamente impeccabile, dotato di una grazia straordinaria, dove pesa la forza però la forza carismatica di un paio di comprimari (l'amico di John a cui è morbosamente legato), di attori che sovrastano di gran lunga un protagonista alquanto sterile nella sua spigolosa sensibilità.
Il fatto è che questa leggiadrìa, si veda a proposito l'epilogo finale, sembra incorniciare quella bellezza esteriore che è fin troppo indicativo esaltare.
A 6 anni da "In the cut" (il fallimento noir più sublime del cinema moderno) la Champion torna sui suoi antichi passi, realizzando un'opera di grande dignità formale ma è troppo chiusa in se stessa la logica dell'ispirazione artistica per liberarsi completamente a Keats e alla sua "poesia della vita"
kubrickforever  12/06/2010 13:12:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
riguardo al valore estetico del film non si può discutere. I miei dubbi rimangono invece riguardo alla capacità della Campion di riuscire a trasmettere il messaggio che probabilmente voleva. Sembra una relazione platonica ed in parte fredda quella tra i due protagonisti, incapace di esaltare visivamente gli splendidi versi di Keats. Manca proprio quella componente intimista che la Campion sembra ricercare in tutto il film. Cosa che le era riuscita molto bene in Lezioni di Piano.
Invia una mail all'autore del commento Suskis  20/07/2010 18:46:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Secondo me non bisogna dimenticare che questo film è ambientato all'inizio dell'800. Quelli erano i rapporti uomo-donna (e, anzi, probabilmente quel che ci viene mostrato è anche troppo ardito). Bene fa la madre a ricordarcelo dicendo che la figlia era ormai assai chiacchierata (per cosa? qualche bacio e passeggiate mano nella mano?) E comunque, parlo per esperienza personale, quando si ama in quel modo è esattamente di quello che si vive: sembra amore platonico, e invece è solo il tentativo di sopravvivere a qualcosa di più grande di noi con la paura di non rovinarlo.
A me tra l'altro Lezioni di Piano non ha mai convinto: le storie d'amore sono analoghe, ma è all'età di Keats che si confà quel genere di passione (per quanto bravo, per dire, Keitel mi è sempre sembrato interpretare un essere inesistente)
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  13/06/2010 00:11:52Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Cercando di fare una sintesi di quello che cercavo di esprimere: "è troppo facile comunicare intensità e sentimento con le poesie di Keats. Come del resto quell'epilogo che tu citi, un pochetto celebrativo e vago rispetto al bisogno della Champion di metterci qualcosa di suo. Si vede che non ne vedeva l'esigenza: appunto per questo...