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INVICTUS regia di Clint Eastwood

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     8 / 10  22/06/2010 16:15:09Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La rinascita di un popolo attraverso l'aggregazione sportiva determinata dal perdono e dall'apertura verso il futuro di un piccolo grande uomo. Nessuna rivalsa per Mandela, il quale sostenuto ed illuminato dalla poesia "Invictus" dell'inglese W. E. Henley, rifugge posizioni vendicative dopo 27 anni passati in carcere, a favore di un progresso umanitario atto ad indurre la pacificazione di un grande paese da troppo tempo afflitto dalla piaga dell'apartheid.
Eastwood ispirato come di consueto non ha bisogno di immagini shock per esporre le profonde divisioni tra bianchi e neri, gli è sufficiente un piccolo ufficio in cui rinchiudere i body-guard del presidente a rappresentanza delle due fazioni in lotta per farci captare la portata del problema. Lo scetticismo, gli sguardi in cagnesco, l'ira repressa e lo sprezzo ben accertano la dolorosa situazione che si trovava a vivere la nazione. Il riordinamento passa per Mandela, nuovo leader politico eletto dal popolo, motivato nel diventare quel capo di stato che possa ergersi a riconosciuta guida morale indiscussa delle genti del Sud Africa.
I mitici Springbocks capitanati da François Pienaar saranno il simbolo dell'intesa che comincia a cementarsi. L'accettazione da parte del giocatore simbolo di una nazionale "elitaria" ed il suo profondo rispetto misto ammirazione per un uomo da seguire senza remore, influiscono sulla conversione dell'atleta, uomo conosciuto e rispettato, in grado quindi di raggiungere l'immaginario di tutti con le sue gesta sportive e divenire mezzo per sanare cuori ricolmi d'odio.
La personificazione dell'afrikaner che scende a patti con il vicino disprezzato, capitano di una squadra che da simbolo razzista si tramuterà in emblema di un popolo finalmente unito sotto la bandiera multicolore della nazione arcobaleno è l'avverarsi del sogno di Mandela.
"Invictus" non è un biopic e nemmeno un film sportivo a celebrazione del mondiale vinto in finale contro i temibili giganti neozelandesi di Jonah Lomu, ma un percorso di crescita sulla carta monumentale ed ostico da raccontare che in mano a Eastwood diventa scorrevole e brillante osservazione, fortunatamente spoglia di ogni artificioso ornamento. Diretto e preciso nell'interpretazione dei punti topici mostra il raggiungimento di un'agilità narrativa non comune, Clint lavora di cesello sui dettagli senza mai essere pedante, sfrutta l'ormai abitudinario approccio disciplinato a rievocazione di un cinema classico e snocciola con forza le tematiche cruciali senza trascurare lo spettacolo, costituito da mischie selvagge, epici corpo a corpo e gloriosi scatti verso la meta.
Addirittura la retorica diventa necessaria nei film di Eastwood, i passaggi finali ne sono zeppi, eppure questa non irrita,in quanto è quello che ci aspetteremmo dal cinema di un grande uomo che ha fatto del rigore morale la sua ragione di vita, efficace nel dimostrare per l'ennesima volta senza inutili strepiti la sua grandezza.