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CASTAWAY ON THE MOON regia di Lee Hae-joon

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oh dae-soo     8½ / 10  26/04/2013 11:19:34Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
presenti spoiler

Nella vita tutti possono sentirsi dei naufraghi.
Sempre meglio naufraghi che alla deriva comunque, il naufragio è comunque un punto d'arrivo.
O di partenza.
La vita è un mare così periglioso, così insidioso, così difficile, così pieno di occasioni mancate e umiliazioni (vedere la strepitosa scena sul pelo dell'acqua, un riassunto di come tutto, affetti, lavoro e amore sia andato a rotoli) che a volte è una deriva insostenibile da reggere.
Allora Lui decide di farla finita e si getta nel fiume Han.
Ma il piano fallisce, Kim si ritrova in un'isola deserta. Una piccola isola appena sotto il ponte dove si è gettato. Ma sempre un'isola è, se all'orizzonte invece del mare aperto ci sono i palazzi della tua città non cambia nulla, sei solo. Su un'isola. Questo naufragio è un punto di partenza nuovo per Kim.
E poi c'è Lei.
Si chiama Kim anche lei.
Anche a lei la vita fuori fa paura, così paura che vive da 3 anni reclusa in una camera nella quale non accetta nemmeno di ricevere la luce del sole. Perchè anche il Sole è un'insidia, uno sfregio alla nostra intimità. Lei fa foto alla Luna, quella sì placida, bella e misteriosa.
Il suo naufragio non è come quello di Lui, non è un nuovo punto di partenza, ma uno doloroso di arrivo.
Solo due giorni l'anno la città si ferma, all'arrivo della primavera e dell'autunno, solo due volte sembra deserta. Per via di una tradizione coreana. Allora lei quella volta prende la sua macchina
fotografica/telescopio per vedere la città anzichè la luna e per caso vede lui, laggiù, in quell'isola.
E' il suo alieno. Lo fotografa e sovrappone le foto di lui a quelle della luna attaccate al muro. Perchè solo in Korea sanno scrivere poesie facendo film.
Kim e Kim sono due alieni, due entità che col pianeta Terra c'entrano più nulla.
Lui cerca in tutti i modi di (re)imparare a vivere adattandosi all'isola, lei, spiandolo, inizia a sentire sempre più forte il bisogno di uscire da quella stanza. E' come un elastico, più lui tira la sua vita verso l'isolamento nell'isola più lei viene attratta dall'uscire.
Impressionanti le metafore che si celano dietro a questa perla coreana. E non solo quelle evidenti dell'uomo naufrago della vita che scappa ai propri "doveri". E non solo quella dell'alieno, del sentirsi diversi da tutto e tutti (il titolo è magnifico).
Ci sono tante piccole cose, su tutte la meravigliosa, divertente e straziante necessità del Kim sull'isola di mangiare degli spaghetti ai fagioli neri, un desiderio incontrollato e incontrollabile, un'ossessione che in qualche modo lo terrà mentalmente in vita. Ha trovato la bustina del condimento sull'isola (un'isola, ovviamente, che essendo urbana è piena di scarichi). Mancano gli spaghetti. Ed è qui la metafora. Se si è convinti di poter raggiungere un'obbiettivo si fa di tutto per ottenerlo. Probabilmente si diventa ancora più intelligenti. Kim prende il guano degli uccelli, sperando nasconda semi. Crea un orticello, "pianta" il guano. Un giorno cresce una pianta di mais. Farina di mais etc etc... Sta di fatto che quegli spaghetti creati dal nulla rappresentano tutto, un sogno che si avvera o il raggiungimento di qualcosa che si è costruito. E mangiandoli probabilmente Kim per la prima volta in vita sua si è sentito veramente felice. E noi, come quando Ego assaggiò la ratatouille, restiamo affascinati ed emozionati da tanta bellezza.
Si ride, si piange, ci si emoziona.
Per un dito dietro l'obbiettivo della macchina fotografica che aiuta lui a spingere quell'anatra, per la stessa anatra, oggetto inanimato che diventa personaggio in grado di toccarci il cuore, per una corrispondenza strana, lei che gli getta nell'isola biglietti dentro bottiglie e lui che gli risponde con frasi scritte nella sabbia, per una notte in cui (ancora una metafora) si perde tutto quello che si è costruito in una vita, per una corsa disperata, finalmente fuori, finalmente alla luce, finalmente senza casco protettivo per nascondersi verso qualcosa che non si può perdere. La scena è praticamente identica al finale di Truman Show, lei che parte appena vede che lui torna nel mondo reale (lì per scelta, qui per costrizione).
Ma non la vediamo solo partire, la vediamo correre.
Corre Kim, corre.
Corre questa ragazza che per 3 anni non ha mai trovato una sola ragione di vita.
Corre disperata perchè se non lo raggiunge è tutto finito, niente ha più senso.
Corre più che può ma un autobus è sempre più veloce di te.
E' finita, il pianto disperato è il pianto di chi in pochi secondi sa di non avere più niente, nessun obbiettivo, nessuna speranza.
Ma la città si ferma solo due volte all'anno, ricordate?
All'inizio della primavera e in quello dell'autunno.
E oggi è quella seconda volta.
L'autobus, da qualche parte, sarà fermo.
Ricomincia a correre.
La città si ferma solo due volte in 365 giorni. Poche decine di minuti.
La prima volta, per caso, lo vedesti su quell'isola.
La seconda, non per caso, ma perchè è la cosa più importante che hai mai fatto nella tua vita, lo vedrai in quell'autobus.
"Who are you?" aveva chiesto sulla sabbia prima di essere portato via Kim uomo senza ricevere nessuna risposta.
"I'm Kim" le risponde Kim sull'autobus.
"Me too" avrà pensato di rispondere Kim.
Fallo dopo, prima finisci di piangere.