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IL RE ED IO (1956) regia di Walter Lang

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Dom Cobb     4½ / 10  04/11/2018 16:00:58Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La tutrice inglese Anna Leonowens viene inviata nel Siam insieme al figlioletto per occuparsi dell'educazione dei figli del re; lo scontro culturale con il regno rigido e legato alle tradizioni instaurato dal sovrano causerà non pochi attriti...
Il musical è uno di quei generi dalle numerose facce, che pur condividendo certi elementi base in tutte le sue forme, si è sempre prestato a più di un'unica impostazione; così, se da un lato gli anni '50 hanno visto lo sviluppo delle fiabe moderne di Gene Kelly, naturale evoluzione dei virtuosismi di Busby Berkeley di un ventennio prima, dall'altra emerge un tipo diverso di musical che ha la sua origine nel teatro di Broadway. Questo secondo ramo condivide momenti musicali e di danza con il suo simile di matrice "kellyana", ma si distingue per storie più complesse e stratificate, non legate al periodo moderno, un enorme dispiego di mezzi che lo avvicina di molto al kolossal e un'impostazione scenica per lo più opulenta, lussuosa ed elegante, nonché una durata maggiore che spesso e volentieri raggiunge e supera le tre ore.
Capostipite ideale di questa tradizione al cinema si può considerare questo "Il re ed io", trasposizione dell'omonimo spettacolo imbastito dal duo Lerner & Loewe, anche se già il precedente "Brigadoon" iniziava a mostrare alcuni segni in tal senso. Anche se in seguito il genere conterà alcuni fra i più grandi incassi nella storia del cinema (basti pensare a "Tutti insieme appassionatamente"), come inizio il film in questione non da affatto una buona impressione.
Com'è il caso nel cinema di quest'epoca, il lato tecnico se la cava egregiamente, in particolare per quanto riguarda le scenografie e i costumi, molto curati e realizzati con maestria, al netto di qualche scivolone più o meno evitabile;


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per il resto, si distingue la solita fotografia dai colori sgargianti, anche se in maniera graduale l'era del Technicolor sfavillante dei primi tempi sta volgendo al termine e ci si inizia ad adattare a uno standard più uniforme e dunque un po' più "spento".
A minare, e diciamo anche distruggere, quanto di buono viene creato dalla troupe, vi è purtroppo tutto il resto: il problema fondamentale del film infatti è il suo soffrire dall'inizio alla fine di una tediosa staticità nella messinscena e di una totale mancanza di energia da parte del regista, della macchina da presa e del montaggio. Il ritmo è lento e quieto, ci si sposta con flemma da una scena all'altra sviluppando ciascuna senza un minimo guizzo di vitalità o passione. Le musiche sono per lo più dimenticabili, prive di un qualsiasi senso del ritmo o della melodia, e francamente comincio a chiedermi se il fantomatico duo di Alan Jay Lerner e Frederick Loewe non sia un tantino sopravvalutato, anche perché le canzoni in sé non vengono supportati da coreografie che si possano definire tali;


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e la durata, sebbene non raggiunga gli eccessi di certi film successivi, non aiuta.
Sul fronte attoriale, l'unico che mi senta di salvare è Yul Brinner: non perché la sua interpretazione sia particolarmente mozzafiato, ma perché è l'unico in grado di iniettare un po' di vita nelle scene in cui appare. Il suo fare eccentrico e la sua vena deliziosamente arrogante lo rendono un trionfo di istrionismo sopra le righe ma senza mai arrivare al grottesco; anche nei momenti in cui si sbizzarrisce di più, permane una dignità di fondo che impedisce al ruolo di diventare la macchietta in cui la sceneggiatura a tratti minaccia di trasformarlo. Deborah Kerr si limita a stare lì, a comportarsi in maniera impostata e inglese e poco altro.
Ma la nota più fastidiosa di tutte è la poca serietà con cui viene mostrato tutto l'incontro/scontro culturale che dovrebbe essere al fulcro della vicenda; di tanto in tanto si parla di tradizioni e qualche volta i personaggi litigano su questa o quell'abitudine assurda, ma la maggior parte delle volte sembra che simili argomenti vengano sviluppati col solo scopo di essere umoristici. Per di più, il legame d'amicizia che si instaura fra Anna e il re viene rovinata inserendo una sorta di sottotesto romantico che, insieme ai toni melensi al limite del parossistico del finale, rovina tutto.


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Dunque, per riassumere: il film esibisce un lato tecnico curato e dettagliato e un paio di numeri di danza ben realizzati e un'interpretazione ispirata di Yul Brinner, ma per il resto è un dramma statico, intriso di melensaggine e privo di eventi degni di nota, tematicamente superficiale e francamente noioso.