caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

RINGU regia di Hideo Nakata

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Godbluff2     7½ / 10  29/05/2022 18:54:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Capostipite di un genere e di un modo di fare cinema in oriente, pietra miliare dell'horror moderno giapponese, il film di Hideo Nakata è indubbiamente un prodotto memorabile, abbastanza da imporsi come archetipo per tutti i successivi figli e figliastri più o meno validi che ne seguiranno la scia.
Tratto da un romanzo (di Koji Suzuki) a sua volta tratto da una leggenda popolare, "Ring" fonde il cinema moderno con il vecchio folklore del Giappone, ponendo anche molti punti fermi a livello stilistico e di messa in scena: girato con un budget estremamente ridotto (poco più di un milione, il remake statunitense ne costò quasi cinquanta), si basa su uno stile molto asciutto, fotografia smorta e tanta, ma tanta atmosfera a bilanciare i pochissimi effetti speciali, rigoroso e statico molto spesso nella regia, che si regge sulla notevole eleganza di Nakata, che in uno stile molto "casalingo" ripreso poi da molti successivi epigoni, costruisce le sue inquadrature e utilizza lo spazio scenico con una raffinatezza che non ho invece mai ritrovato in altri "J-Horror", a volte usando lo spazio dell'inquadratura in modo non banale e non convenzionale, altre dimostrando un certo "lirismo" visivo inserito in quella semplicità estetica. Formalmente semplice ma elegante "Ring", dalla sua ha anche le belle scenografie naturali degli esterni, soprattutto nella sequenza al mare (presenza fondamentale, il mare, qui).
La trama è quella che in molti (me compreso) hanno scoperto prima con il remake americano eppure guardando il "Ring" di Nakata si entra in un universo narrativo completamente diverso, non è solo per le grandi differenze stilistiche, ma è il senso profondo della narrazione di questa storia ad essere stato completamente stravolto dal film hollywoodiano.
"Ring" è profondamente legato alla sua identità nazionale, alla tradizione del suo paese, è un immaginario profondamente radicato quello qui espresso. Come dicevo, centrale in tutti i sottotesti narrativi è il mare, costante è la presenza del mare, ed è chiaramente espresso il rapporto di timore quasi reverenziale verso di esso, luogo sconfinato, misterioso, portatore di morte ed abitato da chissà quali demoni antichi e spiriti maligni; di riflesso, è l'acqua in generale ad essere onnipresente nel film.
La presenza del sovrannaturale, del mistico, del mondo ultraterreno in "Ringu" è estremamente più forte e radicata che nella laccata versione statunitense.
Sadako infatti non si limita ad essere l'onryo vendicativo diventato tale dopo una morte violenta, come di fatto nella versione del 2002, bensì si trattava fin da viva di un'entità solo parzialmente umana (suo malgrado, a guardare il prequel del 2000); sua madre Shizuku era una sensitiva con poteri medianici in costante e stretto rapporto con il mare e, dunque, con i suoi "spiriti" ed è facilmente intuibile come Sadako sia figlia di un qualche spirito-demone del mare. Già da viva si trattava praticamente di una ragazza/demone/spirito, da morta la sua natura sovrannaturale esplode nella classica figura da "onryo" divenuta celebre, con la sua maledizione che si espande nell'etere e si incide sui nastri della celeberrima VHS.
Inoltre anche l'ex marito della protagonista, Ryuji, ha capacità medianiche che gli permettono spesso di avere visioni varie sul passato di Sadako e Shizuko. Insomma, se proprio devo dirlo, la presenza del sovrannaturale e dei sensitivi è anche fin troppo invadente, un mezzo facile per la sceneggiatura di collegare pezzi del puzzle e di donare intuizioni improvvise ai protagonisti; immagino sia anche un'idea tutto sommato valida visto le possibilità limitate dal budget, ma nella fase conclusiva del film, le azioni guidate dai poteri medianici a livello di scrittura mi hanno fatto un po' storcere il naso.
Sadako, dunque, è in teoria un essere potentissimo, non una semplice donna divenuta entità di pura vendetta dopo la morte (come la Kayako di Shimizu in "Ju-On" o la bambina- che anzi non era nemmeno vendicativa- dello stesso Nakata in "Dark Water") eppure paradossalmente è curioso notare come la sua maledizione sia molto più circoscritta e volendo molto più aggirabile rispetto a quella che vediamo nella saga del "Rancore" e questo aggiunge qualche limite di credibilità ai comportamenti e alle azioni dei personaggi: di fatto il raggio d'azione di Sadako è limitato alla sola Izu, in particolare nello chalet dove c'è il "suo" pozzo e dove si trovano i suoi resti. Il video di Sadako appare anche in tv, senza cassetta, ma solo a Izu e solo di notte. Quindi di base basterebbe non accendere la televisione di notte se sei a Izu e soprattutto in quello chalet; poi c'è la VHS, che nel film è già una famosissima "leggenda metropolitana", ma che basterebbe non guardare per evitare di finire male. Naturalmente la sospensione dell'incredulità vuole che noi accettiamo che una schiera di persone si fiondi a guardare immediatamente la VHS maledetta, giustissimo, ma se aggiungiamo la storia della copia abbiamo fatto tombola: Sadako mia, qui ti si può mandare in loop la maledizione senza che nessuno debba morire. Apprezzo molto, scherzi a parte, che il film (questo film e basta, nella saga, purtroppo) si dia regole narrative molto precise e tenti sempre di rispettarle.
I dettagli sul passato, pezzi del puzzle che rimango avvolti da una nebbia sottile, soluzioni lasciate all'intuizione dello spettatore pur seminando tracce precise in merito, sono tutte cose che alimentano il fascino e l'atmosfera azzeccatissima di questo gioiellino nipponico.
Alcune trovate di sceneggiatura sono molto molto carine; la principale, fortunatamente ripresa anche nel remake, sta

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER.
Si tratta di una bella svolta narrativa, il trucco del countdown funziona per mantenere alta la tensione dello spettatore e intanto si sono seminati i giusti indizi per il ribaltamento di fronte finale.
La sequenza "cult", quella di Sadako che esce dallo schermo del televisore, climax horror di "Ringu", è indubbiamente molto bella, per la forza della caratteristica estetica dello spettro giapponese che in lei trova uno dei suoi "simboli" moderni: lunghi capelli davanti al volto, vestito bianco, movimenti ciondolanti, le unghie strappate, un occhio che rivela lo sguardo pieno di rabbia di Sadako. Memorabile.
Bello anche il finale, amaro, sospeso e cinico (anche se, 'sta storia della copia per salvarsi è un cratere logico enorme, ma ok).
I poteri di Sadako che si fondono con la tecnologia e dunque il senso di terrore e morte che scaturisce dal mezzo-televisione non possono non rimandarmi in qualche modo al "Videodrome" di David Cronenberg, altro incubo televisivo dove naturalmente la tecnologia e il rapporto con l'essere umano aveva tutt'altri intenti tematici ed estetico-espressivi, certo, ma che li unisce in un'ipotetica serie "televisione e terrore" (volendo ci sarebbe anche "Poltergeist" di Hooper e Spielberg).
Un bel film davvero, un classico che merita il suo posto nella storia del cinema giapponese, che piaccia o meno naturalmente.