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CELLA 211 regia di Daniel Monzón

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Invia una mail all'autore del commento pompiere     6 / 10  24/04/2010 10:57:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Prendete un penitenziario abitato da detenuti a monitoraggio speciale: assassini, psicopatici e altri sottogeneri umani. Unite a questi un civile educato e all'apparenza imberbe, non dimenticando una shakerata sulla condizione disperata delle carceri: suicidi, igiene assente, strutture fatiscenti, mancanza di controlli basilari, nessun rispetto umano per i prigionieri che assomigliano sempre più a bestie che non hanno niente da perdere.
Il risultato è "Cella 211", una delle tante pellicole di questo periodo particolarmente devoto alla gattabuia.

Daniel Monzòn, il regista, pare elettrizzarsi solo di fronte alle torture, al rosso scuro del sangue, al muscolo sudato; coriaceo e granitico oltre ogni limite possibile, mette in scena la concezione di una pena carceraria scontabile attraverso le sevizie e non risulta così persuasivo (mostrare meno e mostrare meglio avrebbe giovato a questo poco approfondito film vincitore di ben 8 premi Goya).
Alcune intuizioni di scrittura erano davvero evitabili. Come il walkie-talkie rubato, la moglie convenientemente incinta e la rissa con gli antisommossa fuori dal carcere, il taglio dell'orecchio e la gola recisa, i flashback nostalgici e un po' fuori luogo che richiamano scioccamente a un sentimentalismo perduto, l'attivismo dell'Eta come a voler attualizzare a tutti i costi…

Alla fine il film lascia comunque un'impronta molto marcata. Tutti escono sconfitti dalle vicende narrate: le istituzioni che paiono così lontane e che non si sporcano le mani, i carcerieri divisi tra infidi picchiatori senza scrupolo e uomini poco più coscienziosi, e i prigionieri ormai senza speranza pronti a tradirsi l'un con l'altro nel nome di una leadership futile e illusoria.
Da premiare almeno il coraggio di certo cinema di genere europeo, soprattutto spagnolo in questo caso, che dopo aver battuto la strada dell'horror/fantasy si concede un'occhiata "progressista" al "prison movie" con grossi squarci di action che accreditano ben poco nei confronti di un punto di vista alternativo per farne un film compiuto.

Una considerazione "ursina": il cast è davvero notevole. A parte la bravura di Luis Tosar (un "Malamadre" dal forte ascendente il quale nasconde un angolo di vera umanità che fa nascere in lui solidarietà e deferenza) da sottolineare anche la presenza di un uomo attraente quale Vicente Romero.