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IL MONDO DEI REPLICANTI regia di Jonathan Mostow

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Invia una mail all'autore del commento pompiere     5½ / 10  14/01/2010 15:50:18Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'assurdo cyborg "blonde version" di Bruce Willis (immaginate il copricapo pilifero di Robert Redford poggiato sul cranio calvo del possente Bruce e avrete un'oscena idea del risultato) avrebbe bisogno di un upgrade, inguardabile com'è, con la frangetta e lo sguardo mutabile come un fermo immagine.
La versione umana è addirittura più forte di quella finta: si stacca da sola la flebo in ospedale ed esce a prendere aria fresca, resiste alle armi da fuoco, a un pestaggio e sopravvive a un incidente d'auto manco fosse Lazzaro resuscitato. Una volta di più Willis si tuffa a capofitto in una rappresentazione dell'eroe duro e puro, vista ormai troppe volte nel cinema d'azione. Sarebbe l'ora che si dedicasse anche ad altri ruoli più impegnati e vari. La cospirazione che lo circonda è eccessivamente complicata e si perde in un gioco di specchi non sempre originale e coinvolgente.

Più interessante è il ritorno del suo personaggio a una scoperta della vera umanità, la connessione con il suo passato emozionale che nessuna macchina potrà mai sostituire.
Giustamente si pone il problema di come fare se poi in vacanza ci vanno i surrogati e gli umani veri si spaparanzano sui lettini iperspaziali e supertecnologici (chiamati poltrone stimolanti, di cosa non si sa), barricati sempre tra le quattro mura domestiche, vestiti in pigiama e con le pantofole ai piedi. Dov'è che uno può trovare il piacere?
A Bruce Willis comincia a pizzicargli il pisellino e chiede alla moglie una vacanza romantica. Lei invece preferisce sballarsi dandosi scosse elettriche (visto che i replicanti non traggono vantaggi dallo sniffare cocaina) e trastullarsi nel salone di bellezza dove lavora. Anche l'amore diventa di plastica e, come c'insegna Carmen Consoli, non può accontentarci.

A farcire ulteriormente la vicenda ci si mettono anche i cosiddetti dissidenti, coloro i quali non accettando di essere assoggettati al progetto di "replicazione" si sono riuniti in piccoli gruppi sparsi per tutti gli Stati Uniti, dotati pure di una sovranità territoriale e di un leader chiamato "il profeta", una specie di nuovo Messia.
In questi frangenti c'è un vago sentore di messa in scena di serie B, quella nostalgica di solito usata in passato da Carpenter quando con pochi mezzi a disposizione riusciva a fare film di grande contenuto.
Anche "Il mondo dei replicanti" richiama, seppur maggiormente votato all'effetto speciale da vero kolossal, questo spirito. Più volte si fa riferimento a "Essi vivono", sia nella piccola popolazione dissidente che nell'aspetto dei robot quando si vedono in volto scoperchiati della loro pelle sintetica.
Tirando le somme, il film è un condensato piuttosto male arrangiato de "Il mondo dei robot" di crichtoniana memoria, un frullato rimediato dai modesti escamotage di "Visitors", si ispira (e aspira) ai racconti di Philip K. Dick e bussa furbescamente alle porte di "Avatar".