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ULTIMO TANGO A PARIGI regia di Bernardo Bertolucci

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     10 / 10  24/12/2007 22:15:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Niente nomi qui", "voglio sapere il tuo nome", "non ho mai saputo il suo nome" i retaggi di uno scorno, di un rifiuto d'identità (o della rivelazione repressa) sfuggono ai codici di un film che è più importante nei gesti e nelle parole della stessa storia. Ora brutale, ora indemoniato, ora fatalmente compresso tra Bataille e lo smacco di un romanticismo perduto per sempre, "Ultimo tango" è soprattutto uno dei più grandi esempi di amore incondizionato per il mezzo cinematografico di sempre.
E' così imperfetto e irritante, a tratti (difficile accettare come omaggio a Truffaut il personaggio di Leaud, però è anche splendidamente rivelatore: un cineasta-veritè che appartiene a un'altro film, comprimario della sua stessa scena e del tributo che Bertolucci ne fa) che sarebbe condivisibile strappare un 8 e niente più, ma il pathos che reca, sconvolgente, è inafferabile esattamente come tutte le cose che cercano di non coinvolgerti e per questo affondano la carne logorando la psiche dello spettatore più di quanto pretenda.
"Era a caccia di tutti i segreti che aveva nascosto nelle interpretazioni precedenti" cfr. Bertolucci a proposito di Brando: personaggio di disperata dignità, Paul, immediatamente "nudo" (anche nel crollo fisico della sua antica bellezza divistica) e reo di logorarsi fino a pretendere di esprimere tutte le amarissime controreazioni del personaggio.
Inutile ridestarsi pensando alle scene del burro, alla metafora del lupo di una celebre favola, al rogo che ha esposto degli sciagurati al pubblico lubidrio della loro esimia ignoranza: forzature ce ne sono a decine, i rimandi a Bataille già citati, i riferimenti a Von Masoch e al nobile Sartre, una vena "maledetta" che mette in ombra il profeta di tutto, tale Godard, e lo dissacra completamente.
Ma nel terreno artistico non di Bertolucci soltanto ma della carriera artistica di Brando una disfatta morale (evviva) equivale a una risurrezione: un vuoto che precipita raccoglie in eterno il suo fiero respiro