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CAPITALISM: A LOVE STORY regia di Michael Moore

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andreacinico     7 / 10  04/12/2009 12:27:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mantengo il mio voto più o meno sulla media perché, in effetti, non sono in grado di esprimere un giudizio sul valore cinematografico di questo pseudo-documentario. Vorrei solo sottolineare quelli che, secondo la mia umile opinione, sono i pregi e i difetti del regista Michael Moore.
A mio avviso Moore si comporta come i suoi “nemici” (tenta di combatterli con la loro stessa arma) considerando i suoi spettatori come decerebrati. Il regista presenta la sua opera come invettiva (che non produce conoscenza ma si limita a rafforzare il senso di appartenenza) mostrando tesi senza antitesi alla stregua dei potenti che mostrano il lato a loro favorevole della verità. Questo sarebbe stato ragionevole se i suoi film fossero rivolti a grandi masse (come successe per “Fahrenheit 9/11” sfruttando la scia di quel tragico evento) che per definizione non sono in grado di pensare con la propria testa; invece, di solito, i relativamente pochi utenti dei suoi film già conoscono le problematiche di cui parla e magari sarebbe stato meglio un approccio un po’ più distaccato per poter offrire loro un ruolo attivo nel farsi un’opinione.
Il lato che apprezzo di questo regista è invece l’impegno che dimostra nell’affrontare certe tematiche e, soprattutto, dal lato prettamente cinematografico, il suo senso ironico che molte volte sdrammatizza situazioni davvero tristi, evitando così il patetico. In particolare applicando una specie di “montaggio analogico” su immagini differenti che creano quel tono umoristico tipico delle sue pellicole.
Ma qual è l’alternativa al capitalismo? La pellicola indica la democrazia ma, probabilmente, l’autore, nel suo pessimismo, pensa pure che sia improbabile uscire da questo sistema per volere degli uomini. Forse, in un lontano futuro, è possibile che il capitalismo nella sua imperfezione, come stiamo notando in questi anni, si autodistruggerà con buona pace di Adam Smith.
Le cause sono da trovare nella natura intima dell’uomo cioè nella sua avidità di fondo. Infatti il regista ad un certo punto della pellicola si chiede come sia possibile che i poveri (più del 90% della popolazione) si adeguino ai voleri dei ricchi. Da uomo intelligente capisce che la cupidigia, caratteristica dell’umanità, porta il povero a sperare di arricchirsi e quindi, aspirando a tale ideale, trova giusto, nel caso ci riuscisse, tenere il capitale accumulato tutto per sé. Nessuno è innocente!