caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

IL MIO AMICO ERIC regia di Ken Loach

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Invia una mail all'autore del commento pompiere     8 / 10  16/07/2011 17:28:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Eric Bishop (Steve Evets) beve e prende una rotonda contromano. Ha lo sguardo perso nel vuoto, tipico di una persona allo sbando. Con pochi soldi deve badare a due figliastri irrequieti. Eric è il nome col quale essi gli si rivolgono. E' quell'uomo che non si riconosce più allo specchio. Spento, apatico, autoemarginato. Si fa parcheggiare utensili edili nel giardino di casa. Un'abitazione già di per sè arruffata, con stanze messe costantemente a soqquadro. Sporche, disordinate. Confuse come la mente del loro proprietario.

Non resta che tentare un passaggio, costruire un ponte verso un'anima che forse ha già preso il volo. Quella di una moglie dagli occhi splendenti e dalle gambe ballerine che adesso fugge dalle sue parole, dai timidi richiami biascicati. Eric è abbattuto dalla mezza età, ha i sentimenti congelati dai sensi di colpa, dalla mancanza di autostima, dalla paura di entrare in contatto con se stesso.

Si è parlato di un'agevole (e abbastanza riuscita) tregua per questo lavoro di Ken Loach, forse il più costante e rigido tra gli autori ideologici. Ma quella portata in concorso a Cannes 2009 non è un'opera così immediata e fiabesca come si è lasciato intendere. Il tormento dello smunto protagonista giunge come un atroce strappo dell'anima, un cammino verso il baratro della trascuratezza e della solitudine.

Giunge in soccorso l'altro Eric (Cantona, nel ruolo di se stesso), la parte sportiva che ognuno porta dentro sè. Quella che indossa scarpini coi tacchetti e calca i più grandi palcoscenici calcistici mondiali, prodiga di consigli paterni. Quella che tenta di ridare coraggio nell'indossare quel paio di scarpe blu da ballo rievocanti una serata fantastica, e cerca di infondere la voglia di vivere a un postino senza più lettere da consegnare. Un Cantona sorprendentemente eccezionale, che parla delle cose che contano con una positività impressionante.

Loach recita un adagio con brio, obiettivo e uniforme, orientandosi con uno stile narrativo accattivante e una forza concettuale da consumato mestierante. Il suo "Looking for Eric" è un inno alla disinvoltura e alla perspicacia: disseminato da dialoghi simpatici e insuperabili (complimenti all'acume dello scritto di Laverty), si libra con bilanciata musicalità cinematografica dalla farsa al romanzesco, dal dramma a una moderata mansuetudine. È sempre ambientato nel mondo dei piccoli lavoratori, argomenta di politica e sport (il calcio è un'arte popolare per i più "semplici"), si avvale della fantasia in funzione sociale, nel tentativo di risollevare quella miseria condannata a vedere le cose sempre dalla stessa prospettiva.

Finendo con un principio ingegnosamente derisorio: "Quando i gabbiani seguono un peschereccio è perché pensano che le sardine stiano per essere gettate in mare".