Dom Cobb 8 / 10 10/10/2014 20:51:15 » Rispondi In un sonnacchioso pomeriggio, la giovane Alice, costretta a sorbirsi una lezione di storia da parte della sorella, comincia a fantasticare su un proprio mondo ideale, dove "ciò che è, non è" e viceversa. Da un momento all'altro, appare un coniglio bianco con il panciotto e l'orologio che strepita di essere in ritardo. Curiosa, Alice lo segue nella sua tana e finisce nel Paese delle Meraviglie, dove ogni cosa è una farsesca sarabanda di assurdità... Tenuto nel cassetto per più di un ventennio, fra rivisitazioni, riscritture e cambiamenti di stile, finalmente nel 1951 l'adattamento di Walt Disney del celeberrimo romanzo di Lewis Carroll approda sul grande schermo. Lo zio Walt non aveva mai fatto mistero di essere un fan del materiale di partenza: già all'epoca dei suoi primissimi sforzi nel mondo dell'animazione, i "Laugh-O-Grams" degli anni '20, aveva creato una breve serie di episodi basati (in modo quanto mai sommario) sulle avventure di Alice, combinando animazione e live-action. Inteso inizialmente come secondo classico dopo Biancaneve, Alice nel paese delle meraviglie dovette attendere a lungo prima che la sua travagliata produzione giungesse al termine, ma alla sua uscita cozzò con un'accoglienza piuttosto tiepida, almeno per quanto riguardava i critici e i puristi dell'opera letteraria. Solo in seguito, grazie al suo successo fra le bande di hippies, questo classico è stato riscoperto ed oggi gode del suo attuale status di capolavoro dell'animazione. Ricordo che, quando era piccolo, non riuscivo mai a decidermi se il film mi piacesse o meno, poiché vi rintracciavo un uguale numero di pregi e di difetti: mi intratteneva, ma non quanto molti altri classici che allora costituivano la mia videoteca. Bene o male, anche riguardandolo ora ci sono degli elementi che mi impediscono di inneggiare al capolavoro, sebbene nel suo insieme lo abbia trovato più che godibile. Innanzitutto, faccio notare che questo è il primo lungometraggio disneyano in cui lo stile "morbido" caratteristico di tutti i classici fino a questo punto, vira verso un approccio un po' più "angoloso", almeno per quanto riguarda le scenografie e gli sfondi: se nel mondo reale si rimane attaccati a una art direction tutto sommato nella norma, il Paese delle meraviglie è caratterizzato dall'inizio alla fine da ambienti molto stilizzati, con usi particolari della luce e delle ombre e una generale gestione dell'aspetto che lo rendono forse il mondo più originale, unico ed accattivante mai partorito dalla Disney (per non dire surreale).
Basta osservare gli sfondi e i paesaggi, per la maggior parte dominati da colori freddi e scuri.
Tutto questo per sottolineare un clima di estraneità, che si acuisce ulteriormente di fronte a personaggi che, pur esilaranti, sono sempre e comunque ambigui nella loro intrinseca follia: fra questi si distinguono il Leprotto Bisestile e il Cappellaio Matto, la Regina di Cuori e, specialmente, lo Stregatto. Insieme al resto del variegato cast di comprimari, questi tipi completamente fuori di testa danno vita a numerosi, frenetici siparietti, alcuni più efficaci, altri meno (ma questi ultimi si contano sulle dita di una mano).
E' l'esempio delle sequenze con i fiori, a mio parere la peggiore, e quella dei gemelli Tweedle Dee-Tweedle-Dum, animata benissimo ma poco interessante.
Forse anche troppo frenetici: per chi fosse un fan di una storia che abbia un senso compiuto, dopo un po' la sequela di situazioni una più assurda dell'altra potrebbe risultare alquanto tediosa, anche perché sono numerosi i momenti in cui i personaggi urlano o si agitano, o comunque fanno qualcosa di anormale. C'è anche da dire che, paradossalmente, la storia, già di per sé molto simile a un road movie privo di una trama vera e propria, soffre anche di qualche inspiegabile momento di stasi in cui si ferma del tutto, il più delle volte per lasciare spazio a delle canzoni che danno fastidio più che essere orecchiabili. Inoltre, non so se sia un difetto o meno la constatazione che, di tutti i personaggi apparsi sullo schermo, sia proprio Alice la meno interessante: per quanto sia lei il collante delle varie situazioni, non è certo per lei che la visione è così godibile, ma solo per i vari incontri che fa. E questo, mi spiace dirlo, è colpa solo della versione italiana, in cui la voce della protagonista è l'unica cosa che stona in un adattamento nostrano altrimenti perfetto.
Sul doppiaggio, devo riconoscere l'immensa bravura e creatività del nostro Roberto de Leonardis e il modo in cui è riuscito a creare dei giochi di parole per la nostra lingua capaci di non far rimpiangere l'originale. Lo testimoniano piccole trovate come il "Lu-certo" oppure il nome del gatto Oreste (in originale è una gatta, e si chiama Danah).
Per il resto, si fa subito a capire che il film non si basa certo su una storia precisa o su costruzioni adeguate di personaggi complessi, ma unicamente sulla propria natura surreale. E anche se, come ho già accennato, tale elemento rischia più volte di tediare, è anche ciò che permette alla visione di essere così godibile, persino nei momenti più esagerati. Certo, personalmente posso capire il motivo dell'accoglienza ricevuta dalla pellicola alla sua uscita, oltre a una protagonista poco carismatica (cosa di cui lo stesso Walt si sarebbe lamentato in seguito): fra tutti i classici usciti fino allora, insieme ai Tre Caballeros, si tratta di quello più atipico, quello che più degli altri si distacca dalla formula tipicamente disneyana, e la follia che la permane tutta alla fine fa sentire lo spettatore un po' come al risveglio da un trip mentale o, ancora meglio, da un sogno. Lo stesso sogno di cui Alice scopre, alla fine, di far parte. Non so se questo classico sia davvero un capolavoro o no, ma ne rispetto le ambizioni: forse non mi ha intrattenuto quanto avrei voluto, ma allo stesso tempo ha al suo attivo troppi pregi da poterli trascurare. Rimane, tutto sommato, una esperienza affascinante.