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SALO' O LE 120 GIORNATE DI SODOMA regia di Pier Paolo Pasolini

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     9 / 10  24/11/2005 00:32:40Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Lascio malvolentieri il compìto arduo della recensione al mio rivale (ehm) e comunque ho davvero tanto da dire. Questo film mi perseguita da anni, cerco sempre di cercare una verità e trovo sempre risposte diverse. Consumando una lettura "degenerata" (per lui) come l'ineffabile testo Sadiano un amico piuttosto bigotto mi confessa di averne avuto paura perchè "per quanto schifato ha voluto leggere tutto fino alla fine". Il principio su cui si basa l'addattamento di Pasolini non è certo la sua sregolatezza morale (semmai il suo nichilismo a/politico) ma il disprezzo sociale dei quattro aguzzini, che contestano l'ordine e la dimensione del piacere puro a favore della totale anarchia del corpo come oggetto e abuso. L'Ordine viene messo in discussione secondo i criteri che adottava un Ferreri, mentre in Sade troviamo la complicità di un rito che prevarica ogni forma di potere per emanciparla per sè. La Creazione (del testo Biblico) viene sottoposta a una vituperante maledizione cfr. il duca e infatti l'episodio forse più agghiacciante del testo di Sade è l'omicidio di una madre e del suo feto. Salò vive di una certa ambiguità: al rigore scenografico e alla struggente litania del tema musicale si oppone una brutalità raffinata, che cita la comedie francaise e i canti fascisti ("sul ponte di Purati"9 mentre le meretrici (tra cui si nota un'affascinante Elsa De Giorgi) e i quattro aguzzini vivono vaghi momenti di inedita tenerezza e passione, che esprime comunque una sopraffazione che non è mai del tutto coerente, una sorta di redenzione inconscia. La mercificazione del corpo ridotto a carne di deflorazione e amplesso di scatologia e rito bondage diventa la primaria ragione morale. In fondo essa stessa è l'appartenenza a un rito fatalista, dove le vittime tentano solo vaghi esperimenti di fuga, e imparano persino a ridere della loro miserabile condizione. Per gli uomini di potere, gli "scellerati" come direbbe Sade, questo rito non produce che la loro cecità immorale, non vedendo che pur plagiata da paraventi sociali e simbolismi rassicuranti, la dimensione della realtà non è affatto così diversa. Ma al di là della sua apparente vitalità (la vitalità della morte, forse) il film ha qualche crepa che il tempo ha forse incentivato. Ma resta un'opera terribile e affascinante sul nonsense delle motivazioni: che la corsa ai gironi del sadismo passi attraverso giovani soldati, che i ragazzi stessi le vittime, trovino solo la forza di desistere a reazioni scomposte altrettanto tragiche, che esprimano, incarnino, l'emblema del sacrificio anche Divino ("padre perchè ci hai abbandonato?") Il rito stesso del matrimonio celebrato come livellamento tra sacro e profano, perchè secondo il potere "Dio non puo' esistere come peso sociale". L'apolide contraddizione di fondo rivela dunque una società che assume il ruolo di vittima senza curarsi eccessivamente del suo destino. Che accetta l'imposizione della Democrazia falsa e della dittatura piu' bieca ("dopo la guerra tutto finito, si è spento il clamore sugli errori delle scelte", cfr, Pasolini) E i passi di danza dell'epilogo non sono un atto di speranza, ma di indifferenza. L'unico atto di speranza è la sorte della pianista, mentre i due ragazzi restano figure amorfe, future generazioni in balìa forse di altre coercitive complicità. Emblematico è per esempio il giovane trovato a letto con la serva di colore, Ines pellegrini, che muore non prima di agitare il pugno chiuso: un segno inatteso e candido di resistenza, che dimostra che alla forza e sopraffazione altrui ci si puo' ribellare, e che suscita stupore anche negli occhi dei suoi imminenti assassini. Semmai trovo superati certi schemi "en travesti" piuttosto pretenziosi e kitsch, sorretti comunque da musiche religiose che sembrano rievocare (già il b/n) il cinema nordico di Dreyer e il medioevo piu' efferato. Cio' che ancora stupisce del Salò è la riprovazione morale verso un'opera che estremizza e identifica tutte le nostre barriere sociali piu' diffuse. Non è certo decontestualizzante, alla maniera di Bunuel: è solo la bruciante, diabolica metafora NUDA di un mondo che lusinga i suoi ricatti, e che cerca di espellere con la perversione e l'aberrazione dell'individuo ("come puoi credere che ti avremmo ucciso? Lo sai che ti uccideremo mille e mille volte per l'eternità, se l'eternità potesse essere eterna") la condizione Umana dell'esistenza stessa. Nella stessa fossa finiscono innocenti e rei, praticamente
Aenima  24/11/2005 09:53:38Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ottima.

Unico punto sul quale mi trovi in disaccordo è quello relativo ai "Passi di danza nel finale"...Per il resto condivido al 100%.
antoniuccio  28/11/2005 19:04:39Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non ti posso dire nulla, perché il film non l'ho visto, e non lo vedrei... ma più che plaudirti per la profondità delle argomentazioni e la padronanza con cui scrivi....