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TEOREMA regia di Pier Paolo Pasolini

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kafka62     6 / 10  25/03/2018 19:35:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Teorema" è una fredda, razionale e geometrica esemplificazione (un teorema appunto) di come la classe borghese, irretita nei suoi falsi valori dell'ordine, della rispettabilità e del possesso, non sia più in grado di nutrire un autentico sentimento del sacro. Una famiglia di agiati borghesi viene visitata da un ospite misterioso (inequivocabile manifestazione del divino), il quale, dopo essersi conquistato la fiducia e le simpatie di tutti (la domestica compresa), fa l'amore con ciascuno di loro, sconvolgendone per sempre l'esistenza. "Il mio sconosciuto – ha detto Pasolini – non è Gesù inserito in un contesto attuale, non è neppure Eros in senso assoluto, è il messaggio del dio impietoso, di Jehovah, che attraverso un segno concreto, una presenza misteriosa, toglie i mortali dalla loro falsa sicurezza. E' un dio che distrugge la buona coscienza conquistata a buon prezzo, a riparo della quale vivono o vegetano i benpensanti, i borghesi, chiusi in una falsa idea di se stessi". Quando l'ospite parte, i personaggi, pur completamente trasformati e rinnovati, non sono capaci di convertire l'autenticità che si è palesata loro in nuove dimensioni di vita. Rifugiandosi nella follia, nell'arte fine a se stessa o in degradanti esperienze sessuali, essi sanciscono la loro sconfitta, che è anche, ideologicamente parlando, lo scacco definitivo di un'intera classe sociale. Solo la serva Emilia, non a caso una donna del popolo, saprà, ritornando alle sue origini rurali, mettere a frutto la propria esperienza, diventando una specie di santona guaritrice. In lei, Pasolini esprime però, più che un atto di fede nella pietas contadina, la preoccupazione che la graduale trasformazione del proletariato in piccola borghesia possa far scomparire per sempre questa religiosità spontanea e primitiva. Dall'altra parte, il capo-famiglia, spogliandosi simbolicamente dei suoi beni (l'industria donata agli operai) e dei suoi vestiti, esprime anch'egli una possibilità, ancorché remota, di rigenerazione spirituale. Non si sa se il grido con cui si chiude il film sia un urlo di invocazione, di speranza o di disperazione: l'unica cosa certa (come si legge nel romanzo omonimo) è che "esso è destinato a durare oltre ogni possibile fine".
Ciò che contraddistingue "Teorema" è la schematica, didascalica programmaticità con cui Pasolini espone il suo messaggio. Ogni sollecitazione estetico-formale viene sacrificata dal regista alla linearità geometrica dell'esposizione e alla semplificazione dell'assunto, con l'effetto di trasformare il film in un qualcosa che sta a mezza strada tra il pamphlet didattico e il referto psicanalitico. Pasolini rinuncia volontariamente alla storia (suddividendo il film in blocchi narrativi nettamente separati, ossia un prologo – l'intervista in stile documentario agli operai di una fabbrica – e due parti fortemente statiche – la visita dell'ospite e le reazioni dei vari personaggi alla sua partenza), ai dialoghi ("il rapporto tra autenticità e inautenticità – ha detto Pasolini – è impossibile sul piano della comunicazione linguistica: infatti il giovane ospite non parla agli altri personaggi, non cerca di convincerli con le parole, bensì ha con tutti loro un rapporto d'amore. Ed è per questo che il film è tutto simbolico"), a ogni riferimento in chiave naturalistica alla realtà (le desolate, anonime periferie metropolitane e le deprimenti atmosfere borghesi sono spesso sovrapposte a paesaggi riarsi e fumanti, i quali costituiscono un angoscioso leit-motiv), perfino alle possibilità espressive della regia (caratterizzata da una sintassi alquanto elementare, fatta principalmente di insistite contrapposizioni di primi piani). Il risultato è molto diseguale: le immagini sono, è vero, perfettamente en pendant con la disperazione etica e spirituale dei personaggi (suggerendo l'irreversibilità della loro condizione), e non mancano scene di bressoniana intensità (la regressione di Odetta nella follia, i gesti qualunque che la precedono – la corsa sul prato, le foto dell'album di famiglia -, la veglia dei familiari che sembrano contemplare in lei la propria tragedia, la funerea solennità del Requiem di Mozart in sottofondo) né le consuete provocazioni pasoliniane (l'accostamento tra divinità e sessualità); ma la sconcertante assenza di pathos e di emozioni, la cerebralità della allegoria religiosa, la latitanza della realtà che mal si concilia con l'indagine socio-politica da cui il film prende le mosse, il narcisismo citazionistico dell'autore, la raggelante inespressività della recitazione, e perfino l'ovvietà di certe conclusioni ideologiche (perché cos'è la contrapposizione tra la spiritualità di Emilia e quella dei suoi padroni borghesi se non la riproposizione reazionaria del detto evangelico che è più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli?), tutto questo appiattisce il film in una dimensione anti-cinematografica, che non è in grado di aggiungere nulla alla pagina scritta da cui proviene e che pertanto fa rimpiangere l'immediatezza e l'istintività del Pasolini "borgataro" e favolista.