Dom Cobb 8 / 10 11/07/2018 18:15:56 » Rispondi Nella Roma occupata dai nazisti, il parroco Don Pietro assiste come può i partigiani impegnati nella lotta di resistenza; quando accetta di aiutare il militante Giorgio Manfredi, rimarranno coinvolti nella faccenda anche il tipografo Francesco e la sua promessa Pina... "La storia del cinema si divide in due ere: una prima e una dopo Roma città aperta". Questo dichiarava il famoso regista Otto Preminger in un'intervista, e in effetti è difficile non dargli ragione: prodotto durante gli ultimi convulsi momenti della Seconda Guerra Mondiale, ultimato e distribuito nei mesi immediatamente successivi, "Roma Città Aperta", da molti riconosciuto idealmente come il capolavoro di Roberto Rossellini, segna uno spartiacque non da poco nella storia del cinema: con esso, il cinema italiano acquisisce una rinnovata notorietà e importanza mondiale, lancia a livello internazionale attori del calibro di Aldo Fabrizi ed Anna Magnani e, soprattutto, costituisce la nascita del movimento neorealista, che negli anni seguenti sarà la principale e, col tempo, una delle più significative pagine del cinema italiano. Molto è stato scritto e detto sia sul film in sé, sia sul genere in toto, per cui non c'è niente che io possa aggiungere di nuovo ai fiumi di inchiostro che sono stati versati; il film presenta tutti gli stilemi che diverranno le principali caratteristiche del neorealismo, dall'ingaggio di persone comuni nel ruolo di comparse e personaggi secondari allo stile documentaristico, con fotografia e movimenti di macchina privi di qualsiasi finzione o teatralità, fino all'impianto fortemente drammatico e realistico della narrazione, che pure si mantiene dall'inizio alla fine crudo e asciutto, quasi apatico nella sua nuda rappresentazione dei fatti. Certo la dice lunga il fatto che questi elementi siano stati tutt'altro che una conscia scelta stilistica, quanto piuttosto frutto della necessità vista la scarsità di mezzi e risorse a disposizione nel corso della produzione, tant'è che il film doveva essere addirittura un semplice documentario prima che l'apporto di sceneggiatori come Federico Fellini spingesse Rossellini a cambiare impostazione. Comunque, qualsiasi fossero stati i motivi dietro questo stile, è innegabile che, oltre ai meriti del genere in sé, "Roma Città Aperta" conservi ancora oggi la stessa, terrificante potenza nel modo in cui ritrae uno dei periodi più bui nella storia della capitale, nella storia d'Italia e del genere umano. Lo stile da documentario contribuisce a rendere ancora più immediato e intenso il dipanarsi degli eventi, e nel quadro di case in rovina, macerie, notti di coprifuoco e pattuglie di soldati che infestano le strade, giganteggiano le prove attoriali sia di Fabrizi che della Magnani: il fatto che, persino nei momenti più enfatici, le loro performances non sembrino fuori posto ma anzi del tutto naturali, è un enorme testamento del loro indescrivibile talento e contribuisce alla realizzazione di alcune delle scene più memorabili della filmografia del periodo.
Mi sto riferendo, ovviamente, alla famigerata morte della Magnani, nonché alla scena della fucilazione di Don Pietro, entrambi scioccanti nella loro rapidità.
Detto questo, però, mi ritengo in dovere di esprimere dei pareri personali: perché al di là dei meriti oggettivi, ho ritrovato alcuni aspetti che gli impediscono di essere completamente perfetto, come invece alcuni lo dichiarano. Sarà un effetto dello stile documentaristico, o perché sono stato troppo zelante nel prepararmi psicologicamente allo spettacolo, ma sta di fatto che mai una sola volta mi sono sentito emotivamente scosso, e gli eventi non hanno mai assunto l'intensità che molti descrivono (da questo punto di vista, "Sciuscià" di De Sica l'ho trovato molto più difficile da sopportare). Inoltre, la rappresentazione degli ufficiali tedeschi vira un po' sul caricaturale, una scelta più che comprensibile soprattutto da parte di chi ha vissuto di persona attraverso il periodo raccontato su schermo, ma che in definitiva non si amalgama bene con il tono apatico e realistico del film. Comunque, sebbene io abbia delle riserve, sono poca cosa rispetto agli aspetti positivi del film; la sua importanza parla da sé, la sua ottima costruzione narrativa è innegabile e prego intensamente che il film continui ad attirare spettatori col passare del tempo. Non si tratta per nulla di intrattenimento, né di una qualche particolare esperienza artistica; questo è uno di quei film fatti apposta per non dimenticare. E nessuno di noi, fortunati a non aver mai vissuto in quegli anni, dovrebbe mai dimenticare.
Tanti mi fanno questa domanda, "Cristo non ci vede?"... ma siamo sicuri di non averlo meritato questo flagello? Siamo sicuri di aver sempre vissuto secondo le leggi del Signore? E nessuno pensa di cambiare vita, di ravvedersi, e quando tutti i nodi arrivano al pettine, tutti si disperano e si domandano "Ma non ci vede il Signore, non ha pietà di noi il Signore?". Sì, il signore avrà pietà di noi... ma abbiamo tanto da farci perdonare.