caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

LAVORARE CON LENTEZZA regia di Guido Chiesa

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
gerardo     8 / 10  03/10/2004 18:31:55Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Alice non abita più qui. E' in paradiso...
Innanzi tutto, complimenti agli autori per il titolo, a loro dire difeso e mantenuto non senza difficoltà contro le esigenze e le volontà della produzione-distribuzione, perché, come dicono Chiesa e Wu Ming, le parole "lavorare" e "lentezza" sono desuete e poco smerciabili. Coi tempi che corrono.
Il film ha una buona costruzione drammatica e, dopo una prima parte nella quale tutti gli elementi si dispiegano a comporre situazioni diverse unite fra loro dall'ambiente in cui accadono e dalla stessa Radio Alice, centro di gravità attorno al quale ruotano le vicende, un ritmo via via crescente rende molto dinamico lo sviluppo complessivo dell'intreccio. Tutta la seconda parte è in crescendo continuo, fino all'epilogo.
Forse il più grande pregio di questo film è l'approccio antibuonista, asciutto e poco didascalico col quale si racconta un periodo storico, senza scadere nella retorica e nella nostalgia. Bè, non è solo una menata ideologica quella di Chiesa quando dice che il film è rivolto, parla, al presente. Negli scontri di strada fra carabinieri e manifestanti, nell'attacco repressivo alla radio, c'è tutta la tragedia di Genova, del sangue delle sue strade e dell'incursione alla Diaz.
Ed è importante in questo senso il modo in cui è stata trattata la figura del carabiniere, interpretato magistralmente da Valerio Mastandrea - il migliore di tutti nel film -, emerito esponente della repressione schiacciato fra le proprie ambizioni poliziesche, frustrate dalla macchina gerarchica dell'Ordine, e le umiliazioni e le frustrazioni private e familiari: un personaggio piccolo piccolo, abbastanza misero, che comanda quelli più miseri di lui, ma che è sottomesso agli ordini dei suoi superiori. Così tutto il suo lavoro e i suoi sforzi si vanificano nella pochezza della sua posizione, da uomo senza qualità. E uccide.
Max Mazzotta (il Fiabeschi di "Paz!"), l'ultimo carabiniere - sfig.ato - della terra, è qualcosa di travolgente, il più grande comico italiano di oggi: sa far ridere anche solo con l'espressione degli occhi.
Anche il macchiettismo, che in un film con questo soggetto sarebbe stato facile ritrovare, qui si mantiene in forma sopportabile, quasi rarefatta, e non si cade mai nel banale.
Il miglior film di Guido Chiesa, finora.
Invia una mail all'autore del commento paul  03/10/2004 19:36:25Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
grande commento, mi fa venire una gran voglia di andarlo a vedere...ma a tuo giudizio è un film che narra più la fine del '68 o la nascita del '77?
gerardo  04/10/2004 19:31:45Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Grazie Paul, sei molto gentile.
Il film cmq non parla né della fine del '68 e né della nascita del '77... Come?, dirai...
Parla di due ragazzi marginali della periferia bolognese, che non vogliono seguire le orme dei padri e morire anch'essi di lavoro salariato, ma tentare la fortuna in altri modi ed essere finalmente felici. Parla di un gruppo di ragazzi del movimento studentesco bolognese e dell'apice della sua lotta, che è il '77, anno della morte di Francesco Lorusso (originario del mio paese, Giovinazzo, Bari), studente di medicina fuori sede a Bologna (i fuori sede a Bologna sono una vera e propria categoria sociale, o almeno lo erano tempo fa, che nei '70 ha costituito lo "zoccolo duro" del movimento studentesco di Via Zamboni e dintorni). Parla della breve esperienza di Radio Alice, ma senza la nostalgia o la solfa del "come eravamo" di "Radiofreccia" o anche de "I cento passi": è semplicemente un fulcro di libertà e la voce del movimento e di chiunque voglia parlare (il cui diritto ad esprimersi gli è sempre stato negato). Il film - come tiene a sottolineare Chiesa - non guarda al passato. Ed è vero: non sembra la rievocazione di un periodo storico, di qualcosa passata a cui gettare uno sguardo contemplativo o di riflessione dietrologica e paranostalgica. Sembra che sia davvero un fatto del presente.
E poi il film parla della repressione e delle forze della repressione, cioè dei carabinieri. A questo riguardo vorrei sottolineare come i personaggi più azzeccati del film - secondo me - siano proprio i due carabineri, interpretati con estrema bravura da V. Mastandrea e Max Mazzotta (di quest'ultimo, che certamente è un personaggio un po' da barzelletta, è bella la sua semplicità umana che lo rende poco probabile come agente della repressione).
Come vedi, riassumendo i punti, la felicità non è legata a un discorso di rievocazione storica, ma si radica in un continuo presente. Non si narra del '77, o sopra il '77, ma è il '77 che si racconta mentre accade: questo è il punto. Certo, sono passati 27 anni e una fase storica si è chiusa da tempo, ma la scommessa del film è proprio quella di riproporla senza giudizi a posteriori (come succede spesso nei film "diessini", cioè nei film di coloro che all'epoca furono anche protagonisti di quella storia, ma che successivamente hanno preso altre strade "borghesi"). E' anche un fatto anagrafico: Guido Chiesa era poco più che un ragazzino nel '77, i Wu Ming pure, se non addirittura bambini. Per cui c'è uno sguardo pressochè vergine su quegli anni e questo agevola la sospensione di giudizio "a posteriori" degli autori al riguardo.
Poi, il titolo: LAVORARE CON LENTEZZA. Proporlo oggi significa lanciare un grido di rivolta, se pensi al precariato, al mondo del lavoro d'oggi, che ha aumentato, invece di ridurlo, il numero di ore di lavoro per i piùomeno "garantiti". Ecco perché il film non parla di mummie, ma di ciò che si dovrebbe fare oggi: appunto, lavorare con lentezza, tutti, ma col minimo sforzo.
Invia una mail all'autore del commento paul  05/10/2004 11:45:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Dopo questo tuo ulteriore commento ho deciso di fare pace con il cinema italiano. Andrò a vedere Lavorare con lentezza, come andrò a vedere Le chiavi di casa (anche se si tratta di due cose diverse, ma anche il rask m'ha convinto).
Sono molto interessato al movimento del '77, perchè nonostante sia del '72 ho dei fratelli più grandi di me che lo hanno vissuto in prima persona. Perciò mi sono documentato moltissimo, più da un punto di vista concettuale che storico. Era un movimento più radicale e crudo del '68, ma non va sottovalutato. I grandi raduni al Parco Sempione di Milano tanto per fare un esempio andrebbero ricordati maggiormente delle verie intemperanze di una piccolissima parte di autoriduttori. Tra l'altro nel '77 uscì il famoso disco di Bennato "Burattino senza fili", le cui canzoni secondo me riassumono alla perfezione la situazione giovanilistica del periodo, ma sono più attuali che mai. Proprio in riferimento alla tua ultima frase, credo che al contrario del '68, il '77 non si sia mai chiuso: per questo sposo la tesi che questo film non parli di mummie, ma di ciò che si dovrebbe fare.
norah  09/10/2004 00:14:18Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
vero...proprio un bel commento,anche avendo gia visto il film...il carabiniere è fantastico...
patt  15/10/2004 13:42:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ciao gerardo...serve il tuo intervento sul commento di Paul!... e poi ti vorrei fare una domanda:...alla fine, secondo te degli interpreti , chi ne esce "positivamente" dagli eventi...?
gerardo  15/10/2004 18:03:11Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mah!... probabilmente lo stesso carabiniere calabrese, chissà? Ma lo dico pensando soltanto alla sua "innocenza" di fondo (e questo forse pertiene più a un giudizio morale, che esistenziale).
L'unico ruolo "negativo" nel film - tra i pers. principali - lo riveste, se vogliamo, il ten. Lippolis (Mastandrea), col suo capitano, perché ai protagonisti legati a Radio Alice si guarda sempre e cmq con affetto e compartecipazione; persino a Marangon, il piccolo boss, - a mio modo di vedere - perché anch'egli vorrebbe vivere sfuggendo a delle regole imposte, come i ragazzi di Radio Alice (ma questa è un'interpretazione tutta personale ed "epidermica", una semplice impressione dettata dal fatto che - non so se volontariamente o meno - il personaggio non è tratteggiato con caratteri antipatici).
Non so chi ne esca meglio: riflettendo su quello che può essere il loro futuro, carabiniere sempliciotto compreso, sembra che ognuno di loro sia già segnato dal destino. Il CC figlio di camionista calabrese metterà firma nell'arma, perché è l'unica cosa che potrebbe fare: la sua felicità/ambizione è, appunto, lavorare meno. Sgualo e Pelo resteranno due ragazzi della periferia anonima di Bologna, e il loro grande colpo, quello della svolta, è sfumato. Nel film si parla della ricerca della felicità, oltre che di tutto il resto: il problema è che noi conosciamo già com'è andata a finire la Storia, oltre i titoli di coda di LcL. Sappiamo che molti di quei ragazzi di allora si son persi, tantissimi altri hanno trovato la forza di affermarsi, ma mutando se stessi e le istanze che li muovevano in quegli anni e chissà se ciò che hanno trovato dopo è la felicità che cercavano allora. La tua domanda è molto più complessa di quel che sembra. Anche a te, come a Paul, dico di chiedere direttamente agli autori, visto che c'è questa bella e rarissima possibilità di interloquire con loro, sul sito del film www.lavorareconlentezza.com
Prova a fargli la stessa domanda e senti un po' cosa ti dicono loro. (uhm... sono curioso...)
ciao
ger
Invia una mail all'autore del commento sarahprinz  26/10/2004 14:47:34Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Voglio solo complimentarmi per cosa dici, come lo dici e per la tua sensibilità. Anche io, per la prima volta, mi sono esposta e ho scritto qualcosa, ovviamente prima di leggere la tua recensione...diciamo che hai esposto abbastanza chiaramente e concisamente quello che avrei voluto trasmettere io....bravo.
gerardo  27/10/2004 19:44:28Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
grazie...