jack_torrence 8 / 10 19/08/2014 16:53:15 » Rispondi Il fascino di questo film di ascendenza godardiana (di fruibilità non facile) sta quasi tutto nella sua anarchia semantica. Reinventare il cinema, immaginare, anche se in modo decostruttivista e quasi astratto, altre sue possibilità, non è impresa da tutti (specialmente non da un regista in là con gli anni). La trama è futile e pressoché priva di importanza. Occorre lasciarsi avvincere dalle idee di messa in scena. Se limite ho avvertito, è nel ritmo: una insistita ieraticità non aiuta e i cambi di ritmo sono forse troppo "calcolati" per accompagnare lo spettatore.
"Pistol opera" è un'allegoria dell'esistenza come costrizione alla lotta all'eliminazione dell'altro, avversario per la sopravvivenza entro una gerarchia. In questa visione c'è anche una morale. Profondamente giapponese, profondamente orientale. La libertà è possibile attraverso la morte. Il finale se non proprio il raggiungimento del nirvana sicuramente ricorda molto l'uscita dall'eterno ciclo di morte e rinascita. Vedi spoiler.
La protagonista afferma con la morte la sua unicità. Rivendica il diritto di avere se stessa: "non toccare! non guardare!". Suicidio. Scritta finale a tutto schermo: IL CADAVERE APPARTIENE A ME. E di fronte a questa scelta, l'avversario rimane fregato. (E, secondariamente, l'avversario in effetti, come aveva predetto, essendo già stato n. 1 non potrà tornare ad esserlo. Infatti il suicidio della protagonista gli preclude la possibilità di essere stato lui a eliminarla).