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KINATAY - MASSACRO regia di Brillante Mendoza

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     8 / 10  07/02/2014 13:47:39Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Padre amorevole, compagno attento e presente, allievo ligio presso la scuola di polizia; questo è Peping, nessuno potrebbe immaginare che il giovane sia parte integrante di una gang criminale. Il caos di Manila apre la pellicola: in mezzo al fiume di parole, volti, auto, biciclette, bancarelle e rumori di ogni genere spiccano preparativi e celebrazione del suo matrimonio. Pochi invitati, una festa ed un pranzo molto semplici in cui allegria e serenità non mancano. Poi scende la notte, il ragazzo è richiesto per un lavoro dal boss per cui lavora, impensabile rifiutare. Insieme ad altri uomini partecipa al rapimento di una prostituta, malmenata e tramortita, poi portata fuori città in una fatiscente villetta, qui si consuma l'orrore e il cuore fino ad allora puro di Peping si tinge assorbendo le tenebre che avvolgono le aberranti gesta.
Mendoza dirige un film dal forte impatto realista, e per questo la violenza raffigurata, nonostante non venga mai mostrata in maniera chiara o compiaciuta, restituisce un senso di malvagità non comune e molto più disturbante rispetto la maggior parte dei tanto celebrati torture-porn. Tuttavia a tener banco è soprattutto il protagonista, indeciso se fuggire o meno, se utilizzare quella pistola appena concessagli in dono. Forse più facile scendere a laidi compromessi con la propria coscienza.
C'è una prospettiva del tempo dilatata, l'interminabile viaggio punteggiato da momenti all'apparenza insignificanti (il passaggio del casello, lo stop per pisciare, l'acquisto di birra e vivande) con dialoghi ridotti all'osso, secchi, asciugati da ogni fronzolo. Si percepisce il rispetto per il boss, la paura che egli suscita, l'indifferenza del branco alla violenza e lo spaesamento del protagonista che alla fine scambia il silenzio e la vita di una donna con una manciata di banconote. Il buio lascia spazio al giorno, si rientra a Manila e lo strepitio del caos urbano riprende il suo assordante incedere mentre le prime luci dell'alba illuminano la feroce combriccola. Peping è ancora una volta indeciso sul da farsi ma sa bene che la sua anima è ormai corrotta, succube di un mondo in cui la perdita dell'integrità (come scritto sulla sua t-shirt) è un viaggio senza ritorno, perfettamente descritto da Brillante Mendoza.