Ciumi 8½ / 10 29/11/2009 12:11:56 » Rispondi Il nastro bianco - simbolo di purezza.
Ma la purezza dura qualche stagione appena. I bambini sono piccoli automi, pronti a raccogliere le punizioni corporali degli adulti. Gli abusi subiti sono rigide doti che si tramandano, dov’è insito il male, da padre a figlio, da adulto a bambino, da malato a puro, da carnefice a innocente. Bastano poche scene e il nastro bianco è già strappato.
Pervaso d’una quiete ambigua che si macchia d’iperrealtà, il paese è il giardino dove vengono educati i piccoli semi del male, come bozzoli (per un istante mi viene in mente “L’invasione degli ultracorpi”), pronti a schiudere un esercito di soldati. E’ un quadro d’insieme, d’ambienti austeri (Ordet), di “sussurri e grida”, e di misteri irrisolti; un’insolita formula teorica sulla genesi del male ed assieme un inquietante preavvertimento alla tragedia che investirà la Germania e il mondo intero da lì a pochi anni. Haneke sembra un professore universitario che con la bacchetta ci indica ogni piccolo passaggio dell’equazione, ma non ne spiega la soluzione. Noi si rimane con un senso d’impotenza abissale, e un piccolo vuoto nel cuore.
E dice bene chi ha visto Bresson in questo lavoro di Haneke. Già in “Funny games” gli off-screen facevano pensare al regista francese. Anche qui tutta la violenza di cui è pervasa la pellicola avviene fuori campo. E’ invisibile eppure maggiormente percettibile. Ma il raffronto non si limita più ad una questione meramente stilistica. I bambini, gravati di quel simbolo di purezza, il nastro bianco, sono gli innocenti bressoniani che assorbono tutto il male degli uomini. Anche la fotografia degli esterni è statica, rigida, sono tersi i campi e illuminati da un sole invernale.