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IL NASTRO BIANCO regia di Michael Haneke

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amterme63     8½ / 10  15/11/2009 20:35:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Spesso guardiamo nostalgici verso il passato. Ci lamentiamo della perdita del mondo semplice, ingenuo e pacifico; dei tempi in cui non dominava la tecnologia e la modernità spinta, dove ogni cosa era regolata con i ritmi della natura. Vorremmo ritornare alle società piccole, isolate, “sicure” e al riparo dagli “estranei”. Inoltre ci sembra che il nostro tempo sia diventato troppo liberale, permissivo, che non esistano più rispetto, regole, ordine e magari si vorrebbe un maggiore rigore nei comportamenti con norme stringenti e indiscutibili, imposte severamente.
Questo passato idilliaco non esiste e non è mai esistito. Ad Haneke preme soprattutto comunicare questo; anzi ci tiene a metterci in guardia dal ritorno al mito dell’ordine, del rispetto gerarchico e della disciplina rigida e formale. La forza, l’arbitrio e l’autorità non fanno altro che propagarsi dai gruppi dominanti verso il basso, diventando così la prassi normale del relazionarsi umano; dove ognuno si sfoga dominando e schiacciando qualcun’altro ancora più debole di lui, giù giù fino ai diversi, agli esclusi, agli handicappati, quelli che subiscono e basta.
Per poter meglio veicolare questo messaggio Haneke evita se possibile di dare risvolti estetici alle immagini. Il film ad esempio è in bianco e nero, proprio per evitare che il colore “distragga” con sensazioni di bellezza che nessuno al tempo (a parte i poeti e le elite ricche ed acculturate) sentiva. Cerca poi di staccare lo spettatore dalla vicenda, proprio per farlo giudicare e riflettere liberamente. Ad esempio non esiste un vero e proprio protagonista e le vicende dei vari personaggi si susseguono tramite un montaggio alternato basato su nessi emotivi più che narrativi (come nei film di Altman o della Nouvelle Vague). L’oggetto della narrazione non sono gli avvenimenti ma le conseguenze di questi e soprattutto i rapporti interpersonali che si vengono a creare in un ambiente chiuso, paternalista e autoritario.
Sul banco degli accusati c’è proprio il paternalismo, sia nella versione sociale che in quella familiare. Il Barone dà lavoro, dà la possibilità di sopravvivere alla comunità, ma in realtà tiene in pugno tutti e li può schiacciare da un momento all’altro a suo arbitrio.
Il paternalismo familiare è rappresentato dal Pastore, il quale impone ai figli, come “necessarie”, rigidissime regole. Una “necessità” metafisica di cui pure lui si fa paravento (gli “dispiace” punire) e che umilia e amareggia ancora di più l’animo di chi subisce.
La scena chiave del film è quella del canarino infilzato ed è l’unica di cui Haneke ci fa sapere chi è il responsabile. Quella scena dimostra come l’autoritarismo spinto crea solo esseri opportunisti, falsi e bugiardi, vogliosi di sfogarsi propagando la violenza e la sopraffazione. Altre vittime dei sistemi “paternalisti” sono le donne, le quali diventano meri oggetti di piacere, magari usa e getta; oppure sono costrette a subire in silenzio l’autorità del “più forte”. Solo la Baronessa (dotata di arte e cultura) capisce la vera natura del luogo in cui vive (sue le parole più dure del film) e cerca la maniera di fuggire o cambiare.
Ciò che magari crea sconcerto nello spettatore comune è piuttosto lo stile narrativo dell’opera. La narrazione spesso si interrompe bruscamente, nasconde più che rivelare; sembra che si voglia apposta confondere lo spettatore, stimolarne la curiosità per poi lasciarlo come deluso. Si fa fatica a capire il motivo di questa scelta stilistica, che letteralmente spiazza lo spettatore comune, abituato ai narratori onniscenti della cinematografia classica americana. Secondo me Haneke ci vuole far capire che la verità è qualcosa di sfuggente, che forse non esiste. Siamo costretti a vivere di congetture o di incertezze. Può essere anche un atteggiamento pessimista e fatalista. Il male si propaga e nessuno sembra in grado di fermarlo o addirittura di svelarlo, farlo conoscere. In una certa qual maniera questo film di Haneke assomiglia moltissimo ai film dell’ultimo Bresson.
L’importante è però che questo film ci fa indirettamente capire come possa essere nato il regime autoritario e paternalista di Hitler e come sia riuscito a trovare così tante persone disposte ad ubbidirgli ciecamente e con tanta violenza. Come detto all’inizio è anche un monito a non buttare alle ortiche il lavoro di tanti intellettuali che hanno reagito al mondo rigido e autoritario dei “padri” e che ci hanno insegnato a vivere liberi e tolleranti.
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  15/11/2009 23:13:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
besson o robert bresson? Perchè in modo particolare la baronessa mi ha ricordato tanto il personaggio della nobile depressa dalla perdita del figlio nel "diario di un curato di campagna", e lo stile è essenzialmente quello del "primo" Robert Bresson, per certi versi
amterme63  15/11/2009 23:43:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Robert Bresson naturalmente! Ci sono tantissime analogie con i suoi film. Sia in Au hazard Balthazar che in Mouchette il tema è proprio la perdita dell'innocenza. Anche il fatto di non mostrare gli eventi ma solo le conseguente è caratteristico di Bresson (vedl l'Argent). Anche la riflessione sul prevalere del male, del suo essere onnipresente è tipica del grande regista francese.
gerardo  25/11/2009 14:08:36Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mhm... non credo che la scelta del b/n sia stata dettata dalla volontà di non distrarre lo spettatore dalla "bellezza" del colore, o che dal colore scaturisce. Anzi, credo che abbia utilizzato il b/n proprio per la bellezza e il fascino che questa scelta cromatica rappresenta. Non mi sembra che il b/n accentui la sensazione di distacco. O almeno, questa è la sensazione che ho percepito io. Al contrario, ho pensato che il b/n potesse far meglio calare lo spettatore nell'immaginario di un'epoca della quale in genere si hanno ricordi appunto in b/n, attraverso quello che ci ha tramandato la fotografia e il cinema. Probabilmente se fosse stata rappresentata un'altra epoca storica, precedente all'invenzione del cinema e della fotografia, l'uso del b/n sarebbe stato meno influente sulla percezione degli spettatori: ci si sarebbe sentiti più liberi di rappresentare col colore una realtà remota.
Il b/n poi accentua, col "grigiore" dell'immagine, il senso di oppressione diffusa del contesto che si sta analizzando e mostrando. Quindi, a mio avviso, questa scelta estetica va proprio nella direzione opposta a quella del distacco, cercando piuttosto una maggiore immedesimazione psicologica e immaginaria da parte dello spettatore. Poi può essere che io non ci abbia capito niente, eh... :)
Quanto al regime di Hitler, credo che esso sia andato ben oltre il paternalismo mussoliniano e fascista.
amterme63  25/11/2009 19:38:44Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ciao Gerardo. Sì, a pensarci bene penso che abbia ragione tu, soprattutto quando dici che il b/n accentua il senso di oppressione. Per "distacco" intendevo non quello dalla storia e dai personaggi ma dal risvolto estetico dei luoghi in cui si svolge la storia. Il colore secondo me rende "romantica" l'immagine, la riempie di sensazioni; poi dipende dalla scelta del colore a quale sensazione o emozione ci si vuole riferire.
Comunque tu sei molto più esperto di me, visto il tuo occhio sta dietro la macchina da presa :)
In bocca al lupo per le tue passioni.
gerardo  26/11/2009 14:57:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Oh, ti ringrazio. "Esperto" è una parola grossa... tant'è che l'occhio dietro la mdp così come l'ho messo l'ho tolto... :)