gerardo 9 / 10 05/11/2009 13:50:58 » Rispondi Il nastro bianco è la presunzione, oltre ogni evidenza e pudore, di un'innocenza inesistente, annichilita dall'autoritarismo e dal rigore "prussiano", protestante, della Germania imperiale alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Il laboratorio dell'odio, che Haneke prende a modello, è un piccolo villaggio agricolo più o meno autosufficiente nel quale si riproducono tutti gli elementi che porteranno, di lì a poco, al dispiegarsi della catastrofe tedesca. Haneke compie una vera e propria operazione storiografica (entrando con merito nel grande e controverso dibattito storiografico tedesco) sulle ragioni, sui meccanismi e sui conflitti che hanno prodotto la genesi e il dilagare del nazional-socialismo, dando un contributo artistico ed estetico (dai risultati notevoli), non so quanto esplicitamente voluto (in senso storiografico, s'intende), alle tesi di Fischer sulla continuità della storia tedesca tra l'imperialismo guglielmino e le due guerre mondiali, entrambe attribuibili - secondo lo storico amburghese - all'aggressività e al militarismo tedesco, non estrapolando in tal modo, come aveva fatto la storiografia tradizionale, il nazismo quale anomalia dovuta alla follia hitleriana dalla storia della Germania contemporanea. In realtà, Haneke osserva un frammento di storia attraverso l'analisi sociologica piuttosto che politica di una sezione particolare della società tedesca. In questo Haneke sembra recuperare anche la lezione di Rosenberg [1] e dei Nuovi Storici Sociali. In particolar modo, da Rosenberg Haneke riprende lo "studio", se così possiamo definirlo, degli junker, i latifondisti, una classe assolutamente fondamentale nel tessuto politico-militare della Prussia e della Germania imperiale, e del mondo feudale che li circonda. Il verticismo di questa comunità autoritaria si risolve nella freddezza e nella rigidità (immutabilità ancestrale e perpetuata) dei rapporti interparentali e comunitari, nell'ipocrisia di fondo che li regola e nella crudeltà delle parole e dei gesti pronti ad esplodere sotto - e nonostante - il candore dichiarato ed esibito dell'autorità morale e religiosa del villaggio. Ciò che conta, infine, per l'economia del film non è conoscere la verità sui fatti delittuosi accaduti, né scoprirne i responsabili: è importante sapere che il male della catastrofe tedesca è già tutto lì, evidente anche se apparentemente inspiegabile. Se guardando ai nodi irrisolti della storiografia tedesca oggi parliamo di un "passato che non passa", nel film di Haneke è il futuro che sta passando, minaccioso, inquietante e inafferrabile.
[1] Cfr. G.Corni, "La revisione dell'immagine della storia tedesca": <<[...] egli [H. Rosenberg] ha individuato nel periodo successivo all'unificazione e negli ultimi decenni dell'Ottocento il momento cruciale della storia tedesca successiva. [...] dalle conclusioni dei suoi lavori sono tuttavia desumibili i principali elementi per un simile giudizio [la continuità storica]: il carattere autoritario della struttura istituzionale, la rigidità sociale, [...] le nefaste conseguenze del blocco storico fra grande industria e agrari orientali all'insegna del protezionismo, la discrepanza fra sviluppo economico accelerato e modernizzazione politica bloccata, la diffusione di massa delle ideologie irrazionalistiche>>.
patt 07/11/2009 00:05:34 » Rispondi in effett..i :))