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AGORA' regia di Alejandro Amenabar

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gerardo     8 / 10  20/05/2010 15:48:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Come ogni biopic, anche Agorà poteva essere un'operazione a rischio. Il falso storico, la rappresentazione agiografica e retorica della biografia dei protagonisti è il rischio maggiore che questo genere cinematografico porta costitutivamente con sè. Amenàbar, però, pur non eliminando queste caratteristiche strutturali di genere, e accettando l'imprescindibile concetto che ogni biopic è sempre didascalico, riesce a superare la brutta empasse dell'effetto "fiction" ricostruendo una storia straordinariamente convincente non già in quanto vera in tutti i suoi elementi, ma verosimile. Del resto, di Ipazia d'Alessandria non è rimasta nessuna traccia scritta dei suoi lavori, dei suoi studi. La carenza di fonti certificate permette al regista spagnolo di muoversi con maggiore libertà, eppure mai in alcun momento si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un'opera mistificatoria. La ricostruzione storica, tanto di Alessandria (rappresentata nella sua complessa vitalità socio-culturale), quanto delle vicende religiose e politiche della provincia dell'impero del IV secolo, è straordinariamente convincente. Agorà è, dolorosamente, l'inammissibilità culturale, in un periodo di grandi rivolgimenti storici, del potere femminile all'interno di un più vasto e generale scontro di poteri, sullo sfondo dell'inesorabile declino di quello romano. Nel suo pregio maggiore, Agorà pone innanzi tutto al centro della storia una donna, con la sua lucida e vibrante coscienza che si fa tragica coerenza ideologica e morale. Pone in evidenza il meraviglioso scandalo del potere della scienza e del pensiero sull'ossessione del dogma e lo affida all'intransigenza di una donna. E', fondamentalmente, lo scandalo del femminile, della sua irruzione, in un contesto culturale e politico tutto maschile. Non c'è scena migliore, bellissima, definitiva, per restituirci la potenza di questo scandalo se non quella del fazzoletto intriso del mestruo di Ipazia, che la filosofa esibisce in segno di rifiuto, di fronte a tutta la platea di "discepoli", non già dell'uomo quale compagno di vita, ma delle logiche maschili che sovrintendono i rapporti uomo-donna: è la dichiarazione estrema di autonomia e autodeterminazione, è la rivendicazione convinta e orgogliosa della differenza di genere e della sua sostanziale irriducibilità. Scena, questa, che trova la sua naturale correlazione in quella di segno opposto della Biblioteca devastata dalla furia oscurantista dei cristiani. Il suo deserto funereo, plumbeo, è il controcanto alla vitalità pulsante del centro culturale, patrimonio genetico di civiltà, dove la parità di genere è naturale manifestazione dell'uguaglianza euclidea. E se il mestruo è simbolo di fertilità e di vita, l'abbandono e la desertificazione culturale richiamano solo alla morte, fisica, intellettuale e morale di una civiltà. Quando un popolo, una civiltà emergente o predominante vuole annientarne un'altra, è sempre nei centri culturali di quest'ultima che colpisce prima. In ogni epoca. Cancellare le tracce, la memoria altrui, è il primo passo vero l'omologazione, la conquista culturale che è poi militare e politica.
Macs  23/05/2010 21:56:50Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sottoscrivo pienamente il tuo commento. Molto suggestiva l'immagine simbolica del mestruo come vessillo di vita, che si contrappone al deserto morale e culturale della devastazione della biblioteca commessa dai dogmatici inferociti. In fondo è proprio questo il messaggio più importante del film: la ricerca della conoscenza e della verità, contro ogni dogma e sterilizzazione del pensiero, è un bene che va difeso sempre, per cui vale anche la pena dare la vita:
"Voi non mettete in discussione quello in cui credete... Voi non potete. Ma io devo".
gerardo  24/05/2010 13:59:07Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ti ringrazio. Ho trovato la scena del fazzoletto mestruato assolutamente geniale, perché ha l'intelligenza di dare con una sola immagine la rappresentazione del femminile e della femminilità, nella sua espressione più peculiare, la mestruazione, che è simbolo di fertilità e quindi di vita.
frine  26/05/2010 02:54:18Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sì ma purtroppo nella fonte antica (/Damascio) Ipazia si avvale del suo mestruo come di un deterrente, sudicio e ripugnante, nei confronti delle profferte amorose dell'anonimo spasimante (identificato nel film con il futuro prefetto Oreste). Nel film la scena è resa più aggraziata, ma la fonte originale si basa sul recupero di temi misogini di origine cinica.
In pratica, secondo le fonti, Ipazia sarebbe stata la prima ad odiare la propria sessualità e a reprimerla in nome della filosofia. Credo però che la realtà storica fosse un po' diversa.
strange_river  24/05/2010 15:46:24Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sì sì, fertilità, vita...
Non vorrei dire, ma è pure 'na rottura di palle eh ;D
gerardo  24/05/2010 22:03:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ahahah! Sì, posso lontanamente immaginare... Vabbè, prendila poeticamente. :)))