caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

AN AMERICAN PASTORAL regia di Paul Ferrara

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
ULTRAVIOLENCE78     6½ / 10  25/06/2009 19:28:36Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Questo documento rappresenta l’unica testimonianza da cineasta di Jim Morrison che ci sia pervenuta; l’altra opera audio-visiva, realizzata ai tempi dell’Università e di cui è stata proposta una sorta di ricostruzione nel film di Oliver Stone, è invece andata smarrita.
Si tratta di un mediometraggio -filmato con il supporto di Paul Ferrara alla regia, di Babe Hill al sonoro e di Frank Lisciandro come curatore- che narra di un vagabondaggio, di cui è protagonista lo stesso Morrison, che prende le mosse dal deserto californiano per concludersi nella città di Los Angeles. Ispirato da alcuni versi di “Riders on the storm”, il film segue il peregrinare di un presunto assassino (che il personaggio sia un killer si intuisce solo nel momento in cui lui, da essere seduto sul posto destinato al passeggero, si ritrova a guidare l’auto nella quale era entrato come autostoppista), il cui itinerario, pur non avendo un suo senso preciso, è riconducibile al viaggio che l’uomo ha compiuto dalla vita a stretto contatto con la natura fino alla moderna civilizzazione e urbanizzazione (cfr. la scena iniziale del bagno sotto la cascata e quella finale, dove luci, frastuoni, lampi, sirene ed esplosioni sulla città richiamano una sorta di apocalisse metropolitana): viaggio durante il quale egli avrebbe perso e ucciso se stesso.
Si vede che è un’opera incompiuta e frutto di una mano inesperta: diverse sono le lungaggini e le sequenze superflue. Essa, tuttavia, possiede una sua carica suggestiva, che emerge soprattutto nei momenti in cui si descrive un fatto particolare –e non il percorso in macchina “sic et simpliciter”: come, ad esempio, quello in cui viene ripreso un animale agonizzante al centro della “highway”, al cui rantolo fa da eco, successivamente, l’urlo di ribellione di Morrison; o, ancora, quello del balletto di una bambina, accompagnata da un canto corale e dalle movenze danzanti dello stesso Morrison, che pare rifarsi a un passo di “Riders on the storm”. E poi vi è tutta la parte finale nella metropoli: dalle sequenze che ritraggono gli aspetti più stridenti del progresso nel contrasto tra miseria e ricchezza, alla succitata scena apocalittica finale, con il cantante/protagonista che fa da Cicerone mostrandoci il suo sguardo sdegnoso sulla civiltà. Per finire, da segnalare la sequenza a camera fissa in cui si riprende, con un montaggio sconnesso, lo scorrere delle autovetture dal giorno alla sera: di chiara ispirazione “godardiana”.
Un film che, nonostante i suoi difetti, si presenta molto interessante e che certamente vale una visione, soprattutto se si è un fan del Jimbo.