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PLATOON regia di Oliver Stone

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stratoZ     8 / 10  28/08/2023 14:54:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

1986, la guerra del Vietnam era finita da un decennio pieno e anche il ciclo di film su di essa sembrava essersi assestato con opere definitive quali “The Deer Hunter” e “Apocalypse now”, Oliver Stone però non aveva detto la sua e da buon reduce proprio di quella guerra decide di realizzare “Platoon”, rivelatosi poi uno dei film che l’hanno reso celebre.
Platoon è un’opera realista nella rappresentazione quanto intimista nelle intenzioni, tra i vari significati che si annidano nelle fumose foreste vietnamite quello che emerge definitivamente e lascia la sensazione più forte allo spettatore è l’insensatezza di questa guerra vista da un punto di vista dei soldati. Se “Apocalypse now” fa un discorso ancor più ampio andando a scendere nell’animo più recondito e primordiale dell’essere umano, Platoon si ferma ad un livello di coscienza meno profondo ma comunque più impregnato di significati sociopolitici, l’inadeguatezza dei soldati, un’aderenza alla causa quasi inesistente in questo film è palese, fino ad arrivare alla frase cult che riecheggia nella mente dello spettatore alla fine del film “Il nemico era dentro di noi”, la presa di coscienza definitiva della futilità di una guerra idealisticamente inesistente, fondamentalmente per buona parte del film i personaggi non aspettano altro che essere rimandati a casa il prima possibile, non aspettano altro che fuggire da quell’inferno.

Il film parte subito in quarta, la scena iniziale con l’arrivo dei soldati e il carico di cadaveri che vengono portati via da immediatamente una sensazione di riciclo delle vite, la guerra come una macchina viene alimentata dai soldati vivi e restituisce i cadaveri nei sacchi neri in quantità industriale.

Poi vengono introdotti i personaggi, il merito di Stone è quello di differenziare per bene i caratteri, non è ne l’americano, ne il soldato, è il singolo individuo, e questo si vede molto bene nelle differenze, che si tramuteranno in conflitti, tra Grodin e Barnes, il primo, un grande Willem Dafoe, riesce a mantenere il lume della ragione e un’empatia verso l’essere umano, il secondo invece in preda ai deliri per la paura e gli shock subiti durante l’esperienza militare è totalmente in palla e ormai incapace di discernere, ne è un esempio la crudissima scena al villaggio in cui quest’ultimo compie un massacro gratuito un po’ per sfogare la frustrazione un po’ per una crescente paranoia che anche dei civili possano essere viet cong travestiti, scena nella sua realizzazione semplicemente agghiacciante.
Questa esponenziale perdita della ragione finirà per causare i problemi interni che porteranno ad un massacro gratuito all’interno del plotone stesso, Barnes si sente minacciato da Grodin, ormai essendo sceso in uno stato di (in)coscienza in balia dell’emozione - specialmente la paura - la soluzione più veloce è quella che adotterebbe un animale, uccidere.

Interessante è anche la crescita di quello che dovrebbe essere il protagonista, il soldato Taylor, intepretato da Martin Sheen, un giovanotto dalla faccia pulita che si vede palesemente è stato mandato lì per caso, senza uno scopo, senza una motivazione, inizialmente è impaurito pure dalla sua ombra, poi pian piano riuscirà a destreggiarsi nell’inferno della giungla vietnamita fino ad assumere un ruolo fondamentale.
A proposito di questo mi viene da fare un paragone tra la visione di Stone e quella di Kubrick, se quest’ultimo nel suo celebre film sul Vietnam mostra una parte abbondante di addestramento dei soldati e si sofferma sulle pressioni psicologiche dettate dall’esercito stesso e dai metodi estremi, Stone invece sembra voler comunicare una maggiore negligenza dell’istituzione militare nel mandare un soldato palesemente impreparato nel bel mezzo della guerra, se lo shock su “Full Metal Jacket” avviene già con l’addestramento, qui avviene con l’immissione immediata e senza un’adeguata preparazione nel contesto bellico.

C'è stato qualcuno che ha scritto: «L'inferno è l'impossibilità della ragione». Questo posto è così, è l'inferno.