kowalsky 7½ / 10 13/11/2009 23:52:45 » Rispondi A Cannes non è andato giù, ma le accuse di "maniera" lasciano il tempo che trovano: meglio dimenticare gli spettri di "La mala education" (mala film), e dirlo subìto: anche nel suo deja vu autocitazionista (il referente è Donne sull'orlo di una crisi di nervi, lustri fa) Almodovar è un regista per cui vale ancora la pena perdere del tempo prezioso. Se qualche considerazione critica va fatta, è il ricorso a certi parametri che rischiano di diventare stereotipi (es. il tema della paternità celata: suvvia, basta...!), o un lieve sospetto estetizzante nella sequenza sulla spiaggia. Per il resto, è ancora un regista che sa valorizzare al meglio le donne, sfruttando il massimo della loro femminilità ma anche la loro parte più nascosta, la sensibilità volitila, la loro incapacità di adeguarsi. Potremmo battezzare comunque il film con un'altro titolo "le proprietà spezzate", per il ricorso sempre più pragmatico e passionale a un'amour fou dove si vive il sentimento come coercizione e sopraffazione umana. Poi il film è anche una metafora sul cinema, ovviamente a modo suo: non si può pretendere una visione "didattica" à la Wenders da Almodovar (cfr. Lo stato delle cose), ma una sorta di girandola felliniana dove c'è spazio per ben altre citazioni, da Rossellini (l'immenso "Viaggio in italia" tributato in un fotogramma) a Micheal Powell. E infatti l'omaggio dichiarato a "L'occhio che uccide", per esempio nello stupendo fotogramma di P. Cruz che invita il marito ad alzare l'audio recitando le stesse parole nelle immagini, è uno dei punti di forza del film. Una Cruz che ricorda in modo impressionante la nostra Sofia Loren dei tempi d'oro (più che la stessa Audrey vs. Capote ossessione di A.), e una serie di indimenticabili comprimarie. E un regista che ha qualche punto in comune (stavolta involontario, credo) con lo scrittore Salinger. La strana capacità di Almodovar di coinvolgere attraverso una storia dove ancora una volta finzione e realtà vengono sovrapposte, sta tutta nella sua abilità di stimolare lo spettatore con dialoghi, immagini (memorabile quello dell'"incidente") e la spettacolarizzazione della vita e della morte, o della ricerca (o del rigetto) della propria identità. Tutto già visto, ma che importanza ha? Almodovar ha ancora bisogno di essere amato, e non vedo come si possa negargli questo diritto
Gualty 02/12/2009 10:22:40 » Rispondi Stupenda la scena in cui P.Cruz entra nella stanza dove il marito e la traduttrice stanno guardando il documentario,
ma secondo me il vecchio amante non si accorge della presenza di lei. Lei nel video chiede al figlio-di-lui di "metterla a fuoco" ((non di alzare l'audio)) e sembra quasi che ad obbedire sia il padre, che quando sente il rumore della porta gira quasi la testa, ma gli occhi si fermano prima di vederla e viene di nuovo catturato dall'immagine di lei sullo schermo. La traduttrice dovrebbe essere sorda, lui è anziano e di fronte a un maxi schermo con probabile dolby surround, quindi è plausibile che non si accorga della presenza della Cruz.
Non sono d'accordo sulla pecca della paternità celata, che a mio avviso Almodovar getta lì lì come provocazione verso i film che puntano tutto sul colpo di scena. (il figlio non reagisce minimamente alla rivelazione, che non cambia di una virgola lo status quo, è solo felice che sua madre gli parli senza più segreti)