Alpagueur 7 / 10 31/10/2020 11:24:31 » Rispondi Dopo "Una sull'altra" di Fulci (1969), "Giornata nera per l'ariete" di Bazzoni (1971) e "Mio caro assassino" di Valerii (1972), pensavo di aver ormai esplorato i meandri più complicati del genere giallo, evidentemente mi sbagliavo (l'anno dopo a completare il simpatico quadretto ci penserà nuovamente Fulci con "7 note in nero"). Questo film, diretto da Paolo Cavara nel 1976 e sceneggiato da lui e da un certo Bernardino Zapponi (si proprio lui, il soggettista e sceneggiatore di "Profondo rosso" di Argento l'anno precedente), ha una trama forse ancora più complessa ma non per questo meno interessante e originale. Personalmente preferisco non arrovellarmi troppo il cervello cercando di far incastrare nel mosaico date, dinamiche, molteplici personaggi (tutti potenziali assassini), che magari partono per un viaggio e ritornano proprio a cavallo degli omicidi per costruirsi gli alibi. Perchè così per far quadrare il cerchio sono costretto a rivederli e magari fare dietro-front su alcune considerazioni che prima avevo dato invece per certe. Anche questo film l'ho dovuto vedere 2 volte per questo motivo. A distanza di tempo è difficile ricordarsi tutte le sequenze dei delitti e così ho pensato di riassumerle sotto negli spoiler. Ci sono almeno 3 buoni motivi per vedere "E tanta paura", alias "Plot of fear": 1) Le figurine delle filastrocche per bambini di "Pierino Porcospino", che nel 2001 saranno fonte di ispirazione per la famosa "filastrocca del fattore" del film "Non ho sonno "di Dario Argento, anno 2001; 2) il finale, che ha un doppio colpo di scena in sequenza (ultimi 10 minuti); alcuni attori del cast niente male (Eli Wallach, Michele Placido, John Steiner) che ci offrono delle performance davvero convincenti (Steiner lo ricorderemo in seguito per la sua partecipazione a gialli/thriller molto belli e famosi come "Schock" di Mario Bava e "Tenebre" di Dario Argento). Trama veloce: a Milano, un giovane commissario napoletano, Gaspare Lomenzo (Placido), deve far luce su una serie di delitti ai danni di alcuni ricchi libertini, tra vicende di prostituzione, festini a base di sesso e droga, commercio di animali, traffici illeciti di pietre preziose ed episodi di disagio sociale. Non sarà facile individuare il killer, che, coi suoi guanti neri in pelle, lascia ogni volta accanto ai cadaveri di tutte le vittime copie colorate delle illustrazioni tratte da un libro di fiabe per bambini, Pierino Porcospino, disegnato dal tedesco Heinrich Hoffmann (la vittima di turno viene uccisa come nel libro). Lo stile 'giallò sembrava aver perso parte della sua popolarità nel 1976, ma ciò non ha impedito a Paolo Cavara di offrire questo eccellente piccolo giallo! Paolo Cavara, già autore de "La tarantola dal ventre nero", anno 1971, offre con stile allo spettatore la maggior parte dei clichè del genere (omicidi, mistero, corruzione, depistaggi ecc.), purtroppo però realizzerà solo due film di questo genere. Il titolo, anche se potrebbe suonare come brutto, in realtà avrà una certa rilevanza in seguito. Come molti dei migliori gialli, anche questo inizia con un omicidio. Vediamo un uomo grassoccio di mezza età con tanto di vestaglione da donna ucciso in casa sua da una prostituta travestita, e da lì non passerà troppo tempo prima che un'altra donna venga uccisa di notte su un autobus. La polizia se ne accorge presto e capisce subito che è opera dello stesso assassino. Tutto sembra collegato a questa fantomatica organizzazione animal friendly (club 'Amici della faunà)... La trama, come detto all'inizio, è molto contorta, ma il regista Paolo Cavara fa un buon lavoro nell'assicurarsi che venga fuori nel modo più coerente possibile e nonostante le molte angolazioni diverse, il film non diventa mai eccessivamente confuso. Uno dei motivi principali di ciò è il fatto che il regista riesce a mantenere un alto livello di suspense durante tutto il film, e questo assicura che "E tanta paura" sia sempre elettrizzante. Sembrerebbe che lo squallore e la perversione fossero l'intenzione principale di questo film, e sebbene non sia così volgare come altri film di genere, non c'è certamente carenza di squallore qui, il che ovviamente è una buona cosa. Il film è ben interpretato da un cast un po' esperto, che vede Michele Placido nel ruolo del protagonista e che tiene sempre il pubblico impegnato nella sua interpretazione. Gli omicidi sono abbastanza brutali anche se la maggior parte non è eccessivamente cruenta. Il regista Paolo Cavara riesce a conferire al film un'atmosfera cupa e macabra che giova sempre al film. Il finale è un po' concitato, ma non rovina ciò che è accaduto in precedenza e, nel complesso, "E tanta paura" ne viene fuori come un ottimo giallo che merita un certo grado di attenzione e rispetto. La sequenza temporale dei delitti è questa: Omicidio n. 1
Mattia Grandi (soprannominato 'lecca leccà nel giro della prostituzione), feticista e sadomasochista, viene assassinato nel suo appartamento di Porta Volta, a Milano, strangolato da una prostituta, a mani nude (!), alla quale opporrà una debole resistenza, essendo molto effeminato ed amante del gioco di ruolo slave/mistress (qui Cavara è stato bravo perchè era l'unico modo per giustificare una scarsa resistenza), questo omicidio introduce i titoli di testa, non viene inquadrata alcuna figurina accanto al cadavere, ma per associazione di idee potrebbe trattarsi de "La storia del cattivo Federigo".
Laura Falconieri, ultima persona rimasta a bordo di un autobus del centro di Milano, viene uccisa a tarda notte a colpi di chiave inglese, colpita ripetutamente in testa da un individuo con guanti in pelle nera, vicino al suo cadavere viene inquadrata la figurina di Ludovico, Gasparino e Guglielmo che vengono immersi nell'inchiostro nero dal saggio Niccolò (cioè Nikolaus, il Babbo Natale tedesco) perchè si erano presi gioco di un ragazzo di colore, filastrocca "La storia del moretto".
on. Ernesto Picozzi, potente bancario, assassinato durante un dibattito televisivo, centrato in piena fronte da un proiettile davanti a milioni di persone, subito dopo aver estratto dalla sua tasca la figurina de "La storia di Giannino Guard'in aria", preventivamente sostituita opportunamente dall'assassino al posto di una lettera di scuse del direttore di un giornale.
Elvira Meniconi, fortemente indiziata per aver strozzato Mattia Grandi, dato che le impronte trovate sul collo di Grandi in base al rapporto della scientifica erano le sue, viene legata d un albero con una corda, cosparsa di benzina e poi bruciata viva, apparentemente non sembra esserci alcun legame col c.d. assassino delle figurine, parrebbe trattarsi del classico delitto della malavita (la classica punizione alla prostituta disobbediente), ma vicino al cadavere viene trovata ancora una volta un'immagine del libro 'Pierino Porcospinò ('La tristissima storia degli zolfanellì in cui la protagonista Paolinetta, che vuol giocare con i fiammiferi, muore bruciata).
Angelo Scanavini, fa un guasto con la sua auto in strada fuori città, viene investito in pieno dal carro attrezzi che lui stesso aveva chiamato poco prima per cercare soccorso. Anche qui viene trovata una delle immagini del libro di fiabe (figurina del coniglio che spara col fucile al cacciatore che scappa, la filastrocca è "La storia del fiero cacciatore").
commendatore Fulvio Colaianni, ricco imprenditore e proprietario di un centro carni, viene trovato appeso per un gancio al collo, assieme ai maiali della sua azienda, con una figurina de "La storia del bambino che si succhia i pollici" nella tasca superiore della sua giacca elegante.
la connessione tra tutte le vittime è che risultavano fondatrici e iscritte al Club Amici della Fauna, un'associazione apparentemente no profit di amici degli animali, che raccoglievano le specie in via di estinzione dall'Africa per venderle poi in Europa agli zoo e ai circhi... si riunivano tutti i sabati in questa tranquilla e isolata Villa Hoffmann, 12 persone in tutto (7 uomini + 5 donne), tutti esponenti altolocati della società, ai quali a volte si univano ospiti estranei, come la 17enne Rosa Catena, che fu trovata morta di infarto 4 anni prima nelle pertinenze della villa. Questa villa fu fondata dal signor Hoffmann (John Steiner), che viaggiando spesso, portava animali da tutte le parti del mondo e che poi un giorno improvvisamente ha deciso di vendere tutto, è andato ad Amsterdam ed è morto li (ufficialmente). Rosa Catena era una piccola prostituta chiamata per dare un tono alle serate, nelle quali venivano spesso proiettati dei filmati manga e durante le quali solitamente venivano soddisfatte tutte le perversioni dei partecipanti. Fino a 4 anni prima era andato tutto bene per i partecipanti (che pareva facessero tutto fuorchè interessarsi veramente agli animali), ma l'episodio di Rosa Catena (30 novembre 1972) aveva innescato un effetto domino difficilmente controllabile. All'epoca il commissario Lomenzo stava a Roma, e del caso se ne era occupato il commissario Del Re, della polizia di Como, il quale aveva incartato tutti i preziosi rapporti dentro una cartella che, al momento di essere consultata da Lomenzo, è misteriosamente poi sparita dagli archivi della centrale. Lomenzo però aveva comunque sentito che i membri del club si occupavano anche di hashish, droga roba del genere ma nessuna prova fu mai trovata a loro carico. Il commissario Del Re fu costretto a dimettersi, poi sparì e non si seppe più nulla, forse rimase ucciso, i suoi rapporti più interessanti coinvolgevano persone altolocate (tra cui una curiosa impresa export/import di diamanti).
A un certo punto della storia, dopo i primi 4 delitti, Scanavini, amico delle prime due vittime, comincia ad essere preoccupato per la sua incolumità e si rivolge alla rinomata agenzia di assicurazioni di questo poliziotto privato, Pietro Riccio, che ha in Pandolfi (ex poliziotto) il suo uomo di fiducia, nonchè il suo miglior collaboratore. Pandolfi ha il compito ingrato di registrare tutte le conversazioni su nastri magnetici e di piazzare le microcamere nelle camere delle amanti o degli amanti dei clienti che si rivolgono al suo capo per scoprire tradimenti di mogli/mariti etc. tutto opportunamente fotografato, documentato e schedato negli archivi (privati e non consultabili se non dagli uomini di fiducia di Riccio) dell'agenzia. Anche Lomenzo pensa quindi di rivolgersi all'agenzia di Riccio, in quanto dotata di sofisticate apparecchiature elettroniche e di archivi contenenti una mole infinita di fotografie e registrazioni vocali delicate, che spesso e volentieri hanno fatto comodo anche allo Stato (sgravandolo di tutti quei costi collaterali). Lomenzo minaccia di far chiudere l'attività a Riccio, accusandolo di attività di pedinamento illegali, ma Riccio non cede e non permette all'ispettore di attingere informazioni potenzialmente importanti dai suoi archivi. Lomenzo decide allora di visitare personalmente Villa Hoffmann, accompagnato da Jeanne (Corinne Clèry), una bella donna conosciuta occasionalmente a una festa e che aveva partecipato come ospite estranea a una delle riunioni degli amici della fauna. Nel giardino della villa scopre una gabbia vuota, nella quale era stata custodita tempo addietro una grossa tigre e che viene al momento utilizzata da un barbone per dormire. Lomenzo fa visita anche al protettore della Catena, tale Parondi Agostino, delinquente 36enne di Barletta e detenuto nel carcere di San Vittore a Milano nell'estate del 1967...costui annotava i necrologi su un quadernetto, ne furono trovati 3 in tutto, perchè era contento che fossero morti quelli che lui riteneva i responsabili della morte della giovane prostituta. Lomenzo in un primo momento lo ritiene il principale colpevole, anche perchè costui scappa durante l'arresto, salvo poi convincersi della sua buona fede. Lomenzo si reca anche alla Pensione del Lago, dove il il commissario Del Re aveva dimorato fino a qualche anno prima, e li trova utili notizie, in un suo quadernetto di appunti, che si era dimenticato di portare con se. Il poliziotto scopre così che Hoffmann aveva creato gli amici della fauna per organizzare safari in Africa allo scopo di cacciare pantere, leoni, elefanti (uno strano modo di dimostrare amore per gli animali), i quali però non venivano uccisi, ma solamente sedati con dei proiettili a base di ipnotici, e successivamente trasportati in Europa e venduti a circhi e zoo. Questa era però un'attività di facciata, che nascondeva il traffico illegale di diamanti dal Sudafrica, opportunamente nascosti dentro i tubi (cavi) in ferro delle gabbie delle belve feroci, Hoffmann contava sul fatto che alla dogana nessuno si sarebbe preso la briga di smontare le sbarre delle gabbie di tigri e leoni. Alcune di quelle tigri erano risultate provenienti dal Kenya, un habitat alquanto strano per quel felino, ma Jeanne lo rassicurò dicendo che comunque le tigri potevano essere acquistate anche in Africa e portate a Tunisi, punto di imbarco.
La chiave di svolta (fino a qui non si tratta di veri e propri twist).
Prima della partenza improvvisa di Jeanne, della quale si era innamorato, Lomenzo si insospettisce e decide di accompagnarla all'aeroporto, facendo però prima una piccola deviazione per Villa Hoffmann. Qui mette alle strette la donna e la convince a confessare quello che in realtà lui sapeva già dopo aver consultato i taccuini di Del Re, ossia che lei stessa fosse un membro attivo degli 'Amici della Faunà, nonchè amante di Hoffmann, che lo aiutava nel traffico delle pietre preziose, tanto che una volta, quando la sosta era avvenuta ad Algeri e non a Tunisi e uno splendido esemplare di leone (catturato in Kenya da Hoffmann) morì durante il viaggio, lei stessa arrivò di corsa per sostituirlo con una tigre, altrimenti alla dogana sarebbe arrivata una gabbia vuota e arrivando vuota sarebbe stato facile svitare i tubi e trovarci dentro dei diamanti. Difatti dopo la morte del leone, Hoffmann si era recato a Tunisi dove sostò per 15 gg, dopo la sosta venne in Italia e al posto del leone morto dentro la gabbia ci stava una tigre viva (stranezza), Jeanne prova a convincerlo che Hoffmann avrebbe dovuto comprare una tigre per via di un impegno con uno zoo magari, un circo, che insomma dovesse portare un animale ad ogni costo, ma Lomenzo non le crede. Anzi, per dimostrare che ormai aveva capito tutto, Lomenzo svita davanti a lei uno dei tubi delle diverse gabbie di passaggio presenti in loco e ci guarda dentro come nella canna di una pistola. Il commissario, che aveva anche una fervida fantasia e amava i romanzi gialli, appoggiandosi alle informazioni trapelate dai taccuini di Del Re, cerca di immaginarsi la reale dinamica della morte di Rosa Catena, quell'alba dopo il festino...la ragazza non ebbe un infarto a seguito di un macabro scherzo da parte di alcuni membri del club (apertura della gabbia della tigre), come si volle far credere, ma fu deliberatamente affogata nell'alcool perchè era stata testimone accidentale dello svitamento di uno dei tubi della gabbia in ferro, che ospitava diamanti per un valore di 2 milioni di dollari. Alla scena furono presenti Scanavini, Picozzi, Hoffmann e Jeanne. La ragazza implorò il gruppo che avrebbe taciuto, ma non si fidarono e decisero di eliminarla. Jeanne invece aveva abbordato deliberatamente Lomenzo per sviare i sospetti, a un certo punto però irrompe nella scena Hoffmann, redivivo e armato di carabina, che manifesta la volontà di eliminare fisicamente il poliziotto, per salvare la propria vita, contando sul fatto che, essendo figlio di un SS, il padre gli aveva confidato un sacco di segreti e di modi per far sparire un cadavere. E' allora che Lomenzo gli dice che aveva riconosciuto in lui il barbone che aveva visto dormire nella gabbietta di passaggio della tigre la prima volta che si era recato a Villa Hoffmann, lui era tutto coperto ma aveva le scarpe fuori e a tradirlo furono proprio le scarpe (un paio di Saxon da 30.000 lire, troppo costose per un vero vagabondo). Jeanne ha però un ripensamento e con una rivoltella spara a Hoffmann, ferendolo alla gamba destra. Lomenzo chiama un'ambulanza e per non farlo fuggire lo ammanetta Hoffmann nella stessa gabbia e se ne va assieme a Jeanne. In quel momento sopraggiunge Riccio, che aveva condotto indagini per conto di Scanavini e lo induce a suicidarsi, avvicinandogli col bastone (era zoppo) la rivoltella buttata via da Jeanne. Riccio confida nel fatto che per un tipo orgoglioso e sempre in giro per il mondo come Hoffmann (legalmente morto ad Amsterdam per emorragia cerebrale, ma si trattava di un bluff per continuare indisturbato nei suoi traffici) sarebbe stato insopportabile passare il resto della sua vita in carcere, dietro le sbarre, come le sue belve e va via dandogli le spalle, correndo però lui stesso un grosso rischio. Hoffmann, che non lo conosceva ne aveva mai visto prima di allora, avrebbe potuto sparargli ma non lo fa e si spara invece lui, per la soddisfazione di Riccio. Riccio era arrivato ad Hoffmann per via del richiamo (intenzionale?) dello scrittore dell'orribile libro 'Pierino Porcospinò, che anche lui aveva il cognome Hoffmann. L'assassino aveva deliberatamente deciso di sfidare la polizia in una sorta di macabra caccia al tesoro, indirizzandone i sospetti verso il trafficante di belve feroci. A questo punto, la polizia parrebbe soddisfatta...con la faccenda di Villa Hoffmann era stato scoperto un traffico di diamanti, era stato scoperto il modo in cui era morta Rosa Catena, era stato arrestato Parondi (che però non c'entrava nulla), ma Lomenzo continuava a essere convinto che il killer, autore di ben 6 delitti, fosse ancora a piede libero (Hoffmann non poteva essere, e nemmeno la ragazza francese e Parondi), non solo, ma che fosse anche versatile, rubava carri attrezzi, autobus, sparava negli studi televisivi, si infilava dappertutto. Le filastrocche del libro erano 10, quindi mancavano ancora 4 delitti all'appello, incluso quello del protagonista principale (Pierino Porcospino)...
Di li a pochi giorni, una notte durante il periodo natalizio Lomenzo, sempre più determinato a scoprire l'assassino, segue Riccio per le illuminate vie di Milano, per potere avere un confronto con lui...in un negozio di dolci, cerca di convincerlo a vuotare il sacco, sicuro che anche lui fosse arrivato alle sue stesse conclusioni, ma Riccio non molla e anzi cerca di far credere al commissario che l'operato di Hoffmann potesse essere anche la conseguenza di un ricatto da parte dei suoi stessi soci, ma Lomenzo non abbocca...e gli confessa di aver dimenticato che l'assassino potesse avere un movente, di aver lasciato perdere tutte le elucubrazioni possibili e di essere partito da piccole cose, ma dati di fatto, quali le figurine per bambini del disegnatore Hoffmann, lasciate vicino ad ogni cadavere dall'assassino...Riccio è preoccupato e cerca di convincerlo del fatto che spesso i colpevoli desideravano di essere presi, che quelle figurine erano forse un invito a una macabra caccia al tesoro, e che Hoffmann poteva essersi servito di quell'espediente per sfidare la polizia. Lomenzo allora apre il libro davanti a lui e gli fa notare come tra i personaggi mancanti della serie ci fosse il vero protagonista, il più celebre della famiglia, ovvero Pierino Porcospino...e, tramite un'analogia semantica, collega il suo nome a quello di Pietro (Pierino) Riccio (Porcospino), il suo interlocutore sembra divertito (o finge di esserlo perchè in realtà sapeva già tutto?) e pensa quindi di essere una delle vittime ancora mancanti, ma Lomenzo gli fa presente che secondo lui poteva anche essere l'assassino, a scelta. Nell'ufficio di Riccio, Lomenzo gli fa capire come non ci fosse bisogno di correre per uccidere, e nemmeno di uscire da li...sarebbe stato sufficiente l'uso del telefono, d'altronde lo stesso Riccio glielo aveva fatto presente una delle volta che si erano visti, in quello stesso ufficio, che si poteva dominare una intera città, soprattutto se a conoscenza di tutti i segreti di quella città...e lui aveva tutto li, schedato, registrato e fotografato. Perplesso, Riccio si arrende e si complimenta con l'ispettore, ammettendo di averlo sottovalutato. Così vuota il sacco e mostra a Lomenzo le diapositive dei diversi assassini: Graniardi Francesco, ladro e alcolizzato, aveva ucciso Laura Falconieri (era stato per 2 anni conducente d'autobus); Di Cesare Pasquale, operatore televisivo esperto in apparecchiature elettroniche, oltre che maniaco sessuale ed esibizionista, 3 volte condannato, aveva ucciso Ernesto Pigozzi durante la trasmissione; Fabbri Gervaso, autista di taxi, fortemente indiziato della morte di 2 mondane, aveva ucciso Angelo Scanavini; Gasparri Luciano, eroinomane e spacciatore (e qui Lomenzo abbassa la testa e capisce già), 5 condanne, aveva ucciso Fulvio Colaianni; Mascherpa Fiorenzo, per ultimo, aveva ucciso Elvira Meniconi (detta 'Mariettonà), per essere sicuro che la donna non avrebbe mai rivelato il nome della persona che l'aveva incaricata di uccidere Mattia Grandi. Lomenzo capisce tutto e chiede a Riccio, apparentemente reo confesso, perchè gli avesse mostrato tutte quelle diapositive. Riccio gli risponde che l'aveva fatto per collaborare con la polizia, per dimostrare quanto fosse facile diventare assassino...ci voleva semplicemente la persona che desse l'ordine e il denaro per pagare qualcuno ("la linea che divide la gente perbene dagli assassini è molto sottile...siamo tutti corruttibili, tutti noi possiamo uccidere"), lui aveva schedari aveva fotografie compromettenti, lettere, registrazioni in grado di rovinare per sempre la vita di tutti i disgraziati che aveva mandato ad uccidere, bastava solo prendere il telefono e dare ordini...va ad uccidere la tal persona, e quelli per evitare di trovarsi nei guai andavano ad uccidere per conto suo...tecnica raffinata, ricatto ed omicidio...ha lasciato quelle orrende figurine in giro per sfidare la polizia,....lo ha ammesso pure..."una specie di macabra caccia al tesoro" aveva detto. Appurata che la vera arma del delitto fosse il telefono, Lomenzo lo convince a consegnarsi pacificamente, facendolo uscire sano e salvo dall'edificio (Riccio aveva uomini armati e mezzi non solo per garantire scorte a uomini potenti ma anche per mettere a ferro e fuoco una città), e così spenta la luce vanno via insieme. Ma Lomenzo non è ancora del tutto convinto, gli sfugge il movente.
Il vero movente e il vero assassino (secondo colpo di scena)
Prima di lasciare l'edificio per recarsi alla Questura di Milano e completare la procedura di arresto, Riccio fa notare al giovane e disinvolto funzionario che lui aveva detto anche un'altra cosa molto importante, il movente, quale sarebbe dovuto essere il suo movente? perchè avrebbe dovuto uccidere o far uccidere i componenti del Club 'Amici della faunà? lui si era reso perfettamente conto come viveva, lui sapeva chi fossero i suoi clienti, gente ricca, e cioè esattamente i tipi che sono stati uccisi, perchè avrebbe dovuto uccidere proprio i suoi clienti, le sue fonti di informazioni, i suoi contatti più importanti, nessun uomo d'affari farebbe mai cose del genere se voleva restare negli affari...e così Lomenzo gli chiede esplicitamente il vero motivo per cui gli avesse mostrato tutte quelle diapositive, non gli torna il fatto che lo avesse fatto per collaborare con la polizia, dato che sarebbe stato come darsi la zappa sui piedi da solo, collaborando si ma contro se stesso. Riccio gli risponde di no ma suppone che questo Lomenzo lo avesse già capito. Lomenzo gli dice di si ma che non è ancora sicuro se l'assassino fosse lui o uno dei suoi e Riccio replica che in un certo senso era uno dei suoi e in un certo senso uno dei colleghi di Lomenzo, che così getta la spugna e chiede da quando aveva scoperto che Del Re usasse i suoi sistemi. "2 o 3 giorni, ormai troppo tardi lo ammetto, io cercavo solo di coprire lo scandalo, perchè sapevo che avrebbe coinvolto anche me, è questa la mia unica colpa" dice Riccio "e le pare poco?" replica Lorenzo. Lomenzo, sempre più impaziente, in cambio della promessa che si sarebbe ricordato che al momento giusto, Riccio aveva collaborato con la legge, si fa portare nell'ufficio dell'ex commissario Del Re (che aveva cambiato nome ed era stato assunto da Riccio come Pandolfi, ex poliziotto). Del Re sembra sorpreso, e Riccio dice a Lomenzo che quello era l'uomo che aveva messo in pratica la sua teoria secondo la quale chiunque può essere portato a commettere un omicidio se costretto dalla necessità, quello era l'uomo che aveva un movente, distrutta la sua carriera di poliziotto, dovette lasciare il servizio, usando la sua organizzazione per vendicarsi di coloro che avevano provocato la sua rovina (i potenti 'membri degli Amici della faunà), affermando di avere tutte le prove che occorrevano, di avere cercato di difenderlo fino all'ultimo, di aver cercato di far ricadere la colpa su Hoffmann, ma che purtroppo anche Lomenzo aveva tratto pure lui le sue conclusioni, che lo scandalo era ormai inevitabile e che Del Re ne sarebbe stata la vittima, che il gioco era finito. Del Re prima nega tutto e da a Riccio del pazzo completo, ma poi tira fuori il suo revolver e scappa via, al che Riccio da ordine a tutti i suoi uomini di sparare a vista perchè era armato, Lomenzo si arrabbia parecchio per questa decisione e cerca di inseguire Del Re per salvarlo da morte certa, invano però. del Re, circondato, viene crivellato di colpi dai poliziotti di Ricci, senza aver sparato un solo colpo contro qualcuno di loro. Era probabile che Del Re sapesse qualcosa di compromettente dell'agenzia di Pietro Riccio e sia stato ucciso deliberatamente, prima che fosse condotto in questura.. Prima di tentare una fuga disperata, Del Re aveva manifestato rabbia, delusione, sfiducia nella giustizia ("la giustizia non c'è, ce la facciamo da noi la giustizia, l'italia deve essere salvata, ordine ci vuole, ordine l'Italia noi la salviamo, noi!")
Bernardino Zapponi ha fatto davvero un buon lavoro, la sceneggiatura qui è sicuramente molto più complessa ed elaborata rispetto a quella di "Profondo rosso"... era doverosa una lunga descrizione. Ho preferito questo film rispetto a "La tarantola", che dal canto suo ha beneficiato delle musiche di Morricone (un po' sotto tono però, Morricone ha fatto di molto meglio), qui la colonna sonora è praticamente inesistente (Daniele Patucchi), il personaggio dell'assassino resta tutto sommato ambiguo, sembra timido e impacciato ma poi scherza con le segretarie, forse si sarebbe dovuto approfondire maggiormente il suo dramma personale. Questa lacuna rende quasi inutile una colonna sonora all'altezza e mi impedisce di dare a questo film un voto più alto. Per chi volesse approfondire su libro di figurine e filastrocche, classico ottocentesco per bambini, 'Pierino Porcospinò, qui sotto due link, si tratta però di umorismo nero. Asia Argento sicuramente lo avrà sfogliato più di una volta per comporre "La fattoria della morte" in "Non ho sonno"...li vicino ai cadaveri venivano lasciate delle figurine di animali (ritagliati) che avevano in qualche modo attinenza con la vittima. Film da vedere almeno due volte.