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IL SETTIMO SIGILLO regia di Ingmar Bergman

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Dom Cobb     9 / 10  08/11/2018 19:21:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un cavaliere reduce dalle crociate torna in patria insieme al fedele scudiero solo per trovarla devastata dalla peste e dalla povertà e schiacciata dalla paura, dalla superstizione e dall'oppressione religiosa. Lungo la strada verso la sua casa, il cavaliere decide di scortare una famiglia di saltimbanchi mentre, allo stesso tempo, è impegnato a trattenere la Morte, venuta a prenderlo, in un gioco di scacchi...
Il capolavoro di Ingmar Bergman, senza dubbio uno dei registi più importanti ed influenti della cinematografia mondiale, è anche una delle storie più note, citate e parodiate nella cultura popolare odierna. E' anche un film lento, riflessivo, non facile e decisamente impegnativo, che si presta a più livelli di lettura e capace di affrontare senza paura e con schietta semplicità una vasta gamma di temi. E' impossibile parlare di un film del genere distinguendo ciò che funziona bene o meno, visto che non riesco a trovare un solo elemento sottotono, fuori posto o che non raggiunge il suo potenziale; perciò le mie si limiteranno ad essere una serie di considerazioni, quanto personali oppure in linea con le opinioni comuni, ancora non lo so. Posso solo dire che è un film che tutti dovrebbero vedere sebbene non sia adatto a tutti, e che per quanto lo abbia apprezzato, sicuramente non fa parte di quel tipo di film che riguarderei in continuazione.
L'opera di Bergman è strutturata in modo abbastanza semplice, e sotto questa superficie di apparente semplicità racchiude una serie di messaggi e temi che non sono affatto facili da affrontare. Abbiamo infatti due personaggi principali, il cavaliere interpretato da Max Von Sydow, nel ruolo che gli ha concesso la notorietà in patria (per quella a Hollywood ce ne vorrà ancora), e il suo scudiero: il secondo è il classico tipo pratico e materialista, che si occupa del qui ed ora lasciando ad altri il compito di porsi domande filosofiche e spirituali; ed è proprio il primo la figura che tende a porsele queste domande, una figura colta dal dubbio e smarrita in seguito alle esperienze vissute che l'hanno drenato di ogni energia, ottimismo e speranza per il futuro ed enfatizzato le sue paure nei confronti della morte e, soprattutto, di ciò che potrebbe attenderlo dopo. Una figura che ha visto troppi mali nel mondo per non restarne contagiato.


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A controbilanciare il punto di vista pessimistico del cavaliere vi è la famiglia di saltimbanchi che, pur consapevoli dei mali che affliggono la terra che giorno dopo giorno attraversano, non si sono lasciati contagiare da essi e anzi trovano speranza e ragioni per andare avanti nel figlio appena nato: una piccola e allegra comunità la cui fede non è stata intaccata dalle tragedie che si sono abbattute su di loro, ovvio richiamo alla sacra famiglia.
L'atmosfera del film è incredibile, riesce a complimentare la pesantezza dei temi e a suggerire con il giusto miscuglio di realismo e ambiguità il contesto storico, mentre la splendida fotografia accentua con i suoi aspri contrasti luce/ombra e ombra/ombra


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l'ambiguità dei temi trattati, che fino alla fine rimangono sospesi in aria senza che una vera risposta venga data alle tante domande sollevate.
Forse perché delle risposte vere e proprie non esistono, sembra dire Bergman: la sua narrazione asciutta lascia a ciascuno di noi il compito di dire la nostra, di farci un'opinione e si fida abbastanza della nostra intelligenza da non forzare nessun messaggio preciso su di noi. Perché forse, nella condizione in cui siamo ora, con le tante ma pur sempre misere conoscenze a nostra disposizione, non siamo, né saremo mai in grado di rispondere a questi interrogativi. Forse la vita non è altro che una partita a scacchi con un destino che possiamo trattenere, ma mai evitare, mentre domande sulla nostra vita, sulla nostra esistenza e ciò che essa comporta ci assillano senza nessuno che sia in grado di darci una vera spiegazione.
Forse.