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I DIABOLICI regia di Henri-Georges Clouzot

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Invia una mail all'autore del commento Zazzauser     7½ / 10  06/12/2012 04:54:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Se Clouzot non avesse diretto "I Diabolici" nel '54 probabilmente l'Hitchcock che noi tutti conosciamo non sarebbe stato lo stesso. Non solo questo film fu d'ispirazione per la stesura di Psycho (lo stesso Robert Bloch lo citava fra i suoi film horror preferiti), ma doveva essere proprio il maestro inglese ad incaricarsi del soggetto di Boileau e Nercejac - con cui ebbe modo di lavorare poi con "Vertigo", nel '58. L'importanza storica e stilistica del film è innegabile.
Purtroppo una grossa pecca è la regia fin troppo classica; da un mistery europeo - e soprattutto francese - mi aspettavo una resa più moderna e autoriale: è forse troppo presto per approcciarsi alle nuove teorie/tecniche della Nouvelle Vague (che avrebbero in effetti avuto la propria completa espressione alla fine del decennio) e Clouzot preferisce volgere lo sguardo agli stilemi del noir americano. Ne imita con successo le dinamiche di trama, tessendo una vicenda intrigante, da thriller in piena regola; senza però raggiungerne a pieno l'eleganza nei giochi di ombre, nella fotografia, nella potenza visiva dei contrasti.
Il regista francese riesce però a dare una propria identità alla pellicola, soprattutto grazie alla delineazione dei personaggi. E' sapiente nel sostituire la donna malata, fragile ed oppressa al tipico character forte ed eroico (pur nelle sue contraddizioni), costruisce un bellissimo triangolo amoroso e criminale che ha le sue premesse in un intreccio malato di violenza, tradimento, opportunismo e sensi di colpa: funziona alla perfezione la coppia Vera Clouzot/Simone Signoret, l prima debole e spaurita, la seconda metodica e sicura di sé (col preciso ruolo di personaggio dinamico e "fidelizzante" per lo spettatore). In tutto questo si inserisce l'agghiacciante Paul Meurisse, in un ruolo subdolo e talmente intriso di malvagità da spingere all'alleanza anche due potenziali "rivali" come una moglie ed un'amante. Davvero particolare poi il detective di Charles Vanel, che si manifesta più come una presenza che come un uomo in carne ed ossa: arriva per caso, e compare e scompare a suo piacimento (è forse la personificazione del Destino?).
L'assenza delle musiche drammatizza i silenzi: è vero che la sequenza finale avrebbe potuto regalare più coinvolgimento emotivo e sensoriale, ma l'asciuttezza e la semplicità rende le scene di suspense paradossalmente più intense (quegli occhi... fanno rabbrividire anche senza le orchestre di Rozsa o di Herrmann!).
Sicuramente non il capolavoro che ci si aspettava, ma una pellicola ben congegnata, degna di essere accostata ai classiconi di genere.