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JOL regia di Darezhan Omirbayev

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Josh84     7 / 10  19/04/2019 09:02:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Se con il cortometraggio "Shilde" e il lungometraggio "Kairat" il regista Darezhan Omirbayev ha percorso i binari giusti con "Jol" ha fatto altrettanto percorrendo una strada non lineare, (più avanti cercherò di spiegare meglio codesta affermazione) realizzando il film più personale della propria carriera che peraltro ha dei rimandi con i due titoli appena citati e probabilmente persino con Tueur à gages di cui ancora non ho avuto modo di visionare.
Insomma, anche stavolta il regisseur non tradisce il già collaudato marchio di fabbrica, realizzando una sorta di road movie che ricorda un pochettino il point of view dell'iraniano Kiarostami, con venature onirico, surreali, introspettive e quindi esistenziali, sequenze che si alternano, che confondono lo spettatore chiedendosi a volte se il protagonista sta vivendo la realtà o un sognare ad occhi aperti, a parte il ricorrente incubo della sala cinematografica.
A tal proposito Amir, questo è il nome dell'errante personaggio alla ricerca di se stesso, affronta l'incomprensione pubblica inerente al cinema d'autore e affamato perlopiù di cinema spicciolo o frivolo, ma anche in grado di mescolare il cinema del reale e l'applicazione sul mondo arte gli stessi giudizi come nel mondo reale.
Seguiamo lo sviluppo di Amir attraverso lo spazio (le steppe kazake) "interno" e esterno, un andamento non proprio dinamico però d'effetto. Usando una metafora, la lentezza della pellicola è paragonabile ad auto in movimento. È come se Omirbayev viaggiasse sempre di seconda, salendo saltuariamente di marcia in terza per poi scalare nuovamente.
La condizione di Amir, che sia presente oppure frutto della sua immaginazione è governato da due ossessioni: il sesso e il cinema. Durante il viaggio rammenda più volte le pellicola che lui e la sua assistente stavano montando: gli spari, il suo desiderio, l'espressione incolpevole di sua moglie quando li coglie.
Come per convincersi della sua dedizione artistica, Amir ripete ripetutamente una scena del suo ultimo film nella sua mente fino a renderla perfetta: un giovane uomo spara a un uomo più anziano che sta leggendo un giornale.
Il ricordo della madre contadina e il conseguente passato remoto, sono segnati globalmente da connessioni e chiusure. Amir è semplicemente tagliato "fuori pellicola", sia che il passato, sia eroico (ad esempio la visione del guerriero mongolo) o domestico (il rievocare lo sbarco sulla luna in televisione mentre sua madre era impegnata a mungere). Non sorprendentemente, quando arriva al villaggio, la madre è già morta. Ancora una volta Amir non è riuscito a sviluppare positivamente il rullino esistenziale.
Organizza i funerali, passa la notte, trova e legge la lettera della moglie e riparte per ritornare a casa, probabilmente più consapevole ma non risoluto e rigenerato.
Il regista è ben consapevole di questo paradosso e contemporaneamente non vira a lasciare un'impronta sul pubblico kazako, difatti si sforza di fare un film con dialoghi essenziali e in immagini di rilievo, per fornire un ottica al pubblico occidentale.
In conclusione il valore del film è che tutte le situazioni filmiche sono confezionate in termini duali, niente di semplice da capire, direi che c'è sempre più di un modo di focalizzare sui comparti del lungometraggio preso in esame, rendendolo per l'appunto non lineare.

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