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VIALE DEL TRAMONTO regia di Billy Wilder

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Godbluff2     9½ / 10  10/10/2022 23:48:20Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Nonostante non sia, per puro gusto personale, il mio preferito in assoluto di Wilder (dovessi scegliere, punterei sempre il dito su "The Apartment") è in qualche modo "IL" film di Wilder per eccellenza, il suo Capolavoro e uno dei più bei film nella storia del cinema americano di ogni epoca, oltre a rimanere tutt'oggi uno dei più riusciti esempi di "cinema-sul-cinema" mai realizzati.
Con grande intelligenza Wilder costruisce un film che scava profondamente nel sistema hollywoodiano e regala uno splendido telaio "meta-cinematografico" dove la finzione filmica e la realtà si fondono in continuazione in tanti dettagli grandi e piccoli, il tutto senza nemmeno darne l'impressione, con una storia "sul cinema" che procede su vie lineari. Eppure il film si fonde con corsi e ricorsi continuamente su due piani paralleli, il reale e il filmico. E nel 1950 mai la materia era stata trattata così bene.
La sceneggiatura di Wilder e Brackett punta i riflettori sulla decadenza del cinema muto e dei suoi miti e sui lati peggiori del fenomeno del divismo, oltre che sugli spietati meccanismi spesso da "usa e getta" del mercato produttivo cinematografico. Una sceneggiatura memorabile pur vivendo a volte di pretesti, di "scelte del destino" (come il modo in cui Gillis entra nel mondo sospeso e allucinato di Norma Desmond).
Poi, con un'elegantissima e studiatissima regia, esplode quel perfetto gioco di sovrapposizione tra ciò che sta dentro al racconto cinematografico e coloro che da fuori gli stanno dando vita.
Dopo un casting pieno di rifiuti di ex dive decadute del muto ancora incastrate nei loro capricci d'attrici e in vite ormai molto complicate (Mary Pickford, una delle quattro teste originali della United Artists e all'epoca ancora socia della compagnia assieme a Chaplin, pretendeva più controllo sulla tutela della sua immagine, Mae West non si riteneva vecchia a sufficienza, Garbo non degnò nemmeno d'attenzione la cosa-ma nel film ce l'hanno infilata la stesso, citata) ad accettare la parte di Norma Desmond fu Gloria Swanson (più giovane di West, ehm...) altra grande diva decaduta degli anni '20 la quale, eccetto occasioni estremamente sporadiche, non recitava più dai primissimi anni '30, dimenticata con l'imposizione del sonoro; al suo fianco l'ex regista altrettanto decaduto e dimenticato Erich von Stroheim nei panni del maggiordomo, ed ex regista guarda caso, della diva, Max von Mayerling.
La pressoché perfetta sovrapponibilità dei due interpreti con i loro rispettivi personaggi è uno dei grandi punti di forza del film e il casting finale si è rivelato il più affascinante possibile; già, proprio loro due, Gloria Swanson e von Stroheim. Max fu il primo regista di Norma, colui che la lanciò nel firmamento delle stelle, von Stroheim fu l'ultimo di Gloria, fu la sua rovina e caduta (ovviamente, insieme ad altri fattori, ma non rovinatemi l'atmosfera) sull'altare dell'ambizione di entrambi, la prima-diva e produttrice Swanson e il regista sempre più ambizioso, sempre più gargantuescamente esigente.
E allora, alla luce di questo, quanto è ancora più significativo che, in una scena già molto bella di suo, nella proiezione privata a villa Desmond di un film con protagonista Norma/Gloria, con il proiettore azionato da Max/Erich, quella pellicola sia proprio "Queen Kelly", il film maledetto, il film della caduta, del declino di entrambi, le quali immagini per la prima volta venivano proiettate su grande schermo attraverso un altro film ? Ecco, il cortocircuito tra realtà e finzione, tra cinema e cinema, è così bello da commuovermi in occasioni come questa.
E la villa di Norma, questo gigante dell'eccesso figlio della potenza dei divi degli anni d'oro del cinema muto, ormai in pezzi, cadavere in decomposizione che resta vivo per inerzia ("crumbling apart in slow motion" dice Gillis), stagnante e tristissimo come la sua proprietaria, che respira e pulsa nella splendida atmosfera che Wilder e il direttore della fotografia John Seitz, assieme al lavoro scenografico perfetto, riescono a creare. Certo, qui sarebbe stato bellissimo avere Mary Pickford, con la sua Pickfair; perché anche se ho parlato della sovrapponibilità tra Swanson e Desmond non è del tutto corretto come concetto: Gloria Swanson la interpreta magnificamente, con una profonda dose di auto-ironia, accentuando quella gestualità e quelle voglie e quelle bizzarrie tipicamente da "diva" (per dirne una, la stupenda sequenza del funerale dello scimpanzè) e cogliendone stupendamente la triste follia, ma Gloria Swanson ebbe un destino ben diverso rispetto a quello del suo personaggio, dopo il declino della carriera, fu imprenditrice, tenne salde le redini della sua vita pur lontana dal cinema; Norma Desmond è di fatto invece un minestrone che raccoglie in sé un po' tutte le dive cadute e le loro vite spesso a pezzi. Nella carne, nel volto e in molti aspetti professionali (oltre al duo con von Stroheim, Norma girò 12 film con DeMille, Gloria "solo" la metà ma insomma, una bella collaborazione ci fu davvero) Norma è Gloria Swanson, per altri aspetti più Mary Pickford (purtroppo per quest'ultima) per altri ancora è Mabel Normand (per ovvi motivi dai quali fu tratto spunto il finale della vicenda del film) e forse per altri ancora altre donne, altre dive, forse tutte quante.
E poi in una scena appaiono gli amici di Norma... il suo "museo delle cere". Tutti veri ex attori e attrici del muto, la carriera e il successo ormai da tempo perduti. Non sono nemmeno personaggi, sono proprio loro, nei panni di loro stessi, solo che non vengono mai nominati, sono solo "deboli figure che riconoscerete dall'epoca del muto"; già, anche se uno di loro è stato uno dei più geniali cervelli di tutto il cinema muto (e non solo), di nome fa Buster e pure lui ci aveva visto lungo riguardo al "cinema nel cinema", tanto tempo prima. Gli altri, giusto ricordarli, sono Anna Q. Nilsson e H.B. Warner (Henry Byron Lickford).
Se tutto gira intorno al cinema muto, non poteva mancare anche qui l'omaggio all'icona cinematografica più eterna nata in quegli anni, anche se LUI caduto non lo era affatto se non in qualche migliaio di gag, anche se LUI il cinema muto ha continuato a farlo quando e come gli pareva per anni dopo l'introduzione del sonoro, creando due dei più bei film di sempre, anche se quando ha deciso che era finalmente ora di far sentire la sua voce ha continuato ad essere LUI, colossale, velenoso, perfetto, anche se nel 1950 aveva ancora la sua ultima splendida cartuccia da sparare prima di un declino più che naturale e mosso anche da fattori extra-cinematografici. Si, insomma, quella scena è un omaggio bellissimo ed è una scena dolcissima, divertentissima, con una spassosa Gloria Swanson (o Norma Desmond, fate voi), grande davvero (però... Se Mary Pickford avesse... vabbè)
Ma il vero, grosso cortocircuito dove la realtà del cinema si fonde con la finzione del cinema è naturalmente la sequenza agli studios sul set di DeMille, con il vero vecchio volpone nei panni di se stesso naturalmente e con il suo set di "Sansone e Dalila" nei panni... be, di se stesso, pure il set visto che Wilder ha girato la sequenza di DeMille che gira "Sansone e Dalila" mentre DeMille stava veramente girando "Sansone e Dalila" e quindi, be, ci sono due film contemporaneamente che stanno venendo girati in quella scena, sullo stesso set, uno che si incastra prepotentemente nell'altro. Fantastico. Wilder che gira una scena del suo film in cui si sta girando un'altra scena sul vero set di un altro film. E si può dire che DeMille, un altro al quale il passaggio al sonoro potè solo allacciare le scarpe, faccia qui un salto dentro la finzione filmica di Wilder mentre nella realtà stava preparando la sua, di finzione filmica. Pare un casino eppure è tutto così liscio, così naturale, durante la visione nemmeno ci si pensa troppo, è bello però pensarci dopo a questi incastri meravigliosi. DeMille poi è proprio bravo, c'è una malinconica, amara tristezza saggia nei suoi dialoghi in quella sequenza, molto credibile.
Poi, chiaro, c'è l'intreccio del film in se, dove il protagonista è pur sempre lo sballottatissimo Joe Gillis, in balia di Norma, del destino, di se stesso direi soprattutto, interpretato da William Holden che convinse Wilder dopo le mille riserve del regista. Una storia drammatica che riprende dal Noir alcune scelte estetiche e qualche tocco narrativo, stupendamente raccontata e con un'idea geniale nell'incipit, giustamente rimasta celebre (l'intero film è narrato dalla voce fuori campo di un uomo già cadavere...) e che dopo aver attraversato in profondità le gallerie buie della decadenza e del dramma umano, con tante sfaccettature in campo (si pensi all'importante particolare del muro di menzogne alzato per "protezione" da quell'altro disperato relitto umano di Max), si conclude in Gloria (già, era troppo facile questa) e in disperazione, con uno dei finali più belli della storia del grande schermo, sul quale non mi dilungherò (almeno non su questo...), dicendo solo che alla fine anche Max, come Erich, gira davvero il declino e la fine di Norma, anzi Max per un momento cessa di essere Max e diventa davvero Erich, il grande regista del muto, che di nuovo gira per lei l'ultimo film. Be, prima che arrivasse questo naturalmente. E Gloria Swanson, che in questo film ha creduto molto ed ha lavorato a mio avviso con palese entusiasmo, ha meritato ogni oncia di questa sua seconda giovinezza artistica, che l'ha consegnata all'immortalità più dei suoi film da giovane diva rampante e potente degli anni '20. Con pieno merito.
Ci sono tante piccole belle cosucce, come il raggio di luce che Wilder lascia trapelare dalla giovane aspirante sceneggiatrice Betty Schaefer (Nancy Olson), antitesi totale di una Norma Desmond, lavoratrice onesta e ultima ruota del carro ma talentuosa ed entusiasta, simbolo di coloro che creano il film "nell'ombra", quelli che "il pubblico spesso non sanno nemmeno che ci siano", dietro i volti che stanno davanti le cineprese, in particolare quella parte ancora non corrotta dal sistema, volenterosa di lavorare bene, non divorata dai meccanismi del mostro-cinema.
Sul lato tecnico ho già accennato, c'è poco da aggiungere, un colosso, per l'attenta costruzione di Wilder di ogni inquadratura, che esalta la certosina ricostruzione scenografica (decine e decine di vere foto di scena di Swanson), la profondità e l'illuminazione della fotografia di Seitz, tutto questo ti fa entrare quella villa, quell'ambiente decaduto e non-morto, nel profondo delle viscere, te ne fa sentire ogni lento battito, è stupendo. Così come certosinamente la sceneggiatura scava in ogni anfratto della psicologia dei personaggi, naturalmente Gillis e Norma Desmond su tutti, ma non solo, è un lavoro spietato, inesorabile e destinato a portare alla tragedia. Accompagnato perfettamente dalle belle musiche di Franz Waxman (Uomo di Cera, come gli attori decaduti del circolo di bridge di Norma, lì).
Un capolavoro assoluto, una visione lucida sulle contraddizioni del maledetto/benedetto cinema, perché poi, quando per mostrare il cinema dal suo interno Wilder ti fa del cinema di questo livello, come fai a non volergli comunque bene, a questo mostro bicefalo e crudele chiamato "Settima Arte" ?