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LA FIAMMA DEL PECCATO regia di Billy Wilder

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Godbluff2     9½ / 10  24/07/2022 18:59:11Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Billy Wilder disse che non aveva idea di star girando un "Noir", lui voleva solo girare il tipo di storia, il tipo di film che gli interessava, nel modo in cui gli interessava e che pensava potesse piacere al pubblico; solo che Billy Wilder è stato uno dei più grandi registi in tutta la storia del cinema e quando realizza un film "come piace farlo a lui", scrivendolo insieme ad una delle più grandi penne dell'Hard-Boiled come Raymond Chandler, mentre passavano il tempo a prendersi a sputi in faccia, trasponendo un romanzo di uno scrittore come James M. Cain, quello che ne uscirà fuori non potrà che essere non solo un capolavoro assoluto del cinema, ma anche un titolo di quelli che segnano profondamente un genere, un'estetica, un modo di raccontare "quel" tipo di storie sul grande schermo.
"Double Indemnity", che per Wilder è stato il primo grandissimo capolavoro della carriera dopo un paio di film "di riscaldamento", è uno dei film che maggiormente ha contribuito nel determinare la "grammatica" e le convenzioni stilistiche ed estetiche del cosiddetto cinema "Noir", fissandone i tratti caratteristici come pochissimi altri film hanno fatto in quegli anni; non fu il primo (merito che viene di solito, comprensibilmente, assegnato al "Maltese Falcon" di Houston) e forse non è nemmeno il più rappresentativo in assoluto del genere (per quanto riguarda l'Hard-Boiled puro, "Il Grande Sonno" di Hawks è forse quello che più degli altri simboleggia questo tipo di cinema) ma, per me, è semplicemente il migliore, la vetta di perfezione raggiunta dal genere, esteticamente e narrativamente.
"Double Indemnity" contribuisce enormemente, come detto, a scrivere e determinare le tipiche regole estetiche e narrative del "Noir" (genere che in fondo racchiude in sé la narrativa Hard-Boiled/Gialla/Crime più cruda e cupa della quale rappresenta più un potenziamento estetico particolare che altro), ma Wilder non si limita a questo: lui arricchisce il genere, potenziandone le possibilità narrative, esaltandone al massimo l'intensità.
Fin dall'alba degli anni '40 il "Noir" aveva rappresentato uno dei modi nuovi di raccontare storie e costruire film sul grande schermo americano (non l'unico, c'era in giro un tale Orson Welles, per dire), una delle frontiere più moderne, più coraggiose, più innovative, per certe particolarità formali ed estetiche ma soprattutto per lo stile narrativo, al quale era permesso raccontare storie prive del dogmatico lieto fine hollywoodiano, che raccontava di storie e personaggi ai margini, cinici, spietati, amorali, duri, prendendo a piene mani appunto dalla letteratura "crime/poliziesca/hard-boiled", incupendo e rendendo più realistica anche la lezione del cinema gangster imperante nel decennio precedente.
Da parte sua, Billy Wilder compie un ulteriore passo avanti, inserendo i tratti tipici di questo cinema in un contesto di drammatico e spietato squallore umano senza possibilità di redenzione; mai prima di allora e ben poche volte dopo la componente del dramma e la profonda e cinica visione della peggiore umanità erano state tanto forti e nette nel cinema americano e nello stesso cinema "Nero".
Proprio questo fu uno dei (molti) motivi di scontro con Chandler: il grande scrittore aveva dato vita ad un personaggio come quello di Philip Marlowe, che appena un paio d'anni più tardi rispetto a "Double Indemnity" troverà la sua più classica resa cinematografica nel capolavoro di Hawks (non la mia preferita in assoluto però: per quello rivolgersi alla personale visione ristrutturata e rivoltata dal genio di Robert Altman). Marlowe è il simbolo della narrativa Hard-Boiled: duro, apparentemente cinico, amaro, ma chiaramente un giusto, mosso da una sua personale morale e da un senso della giustizia che il cinismo e il brutto carattere non possono del tutto nascondere. Lavorando alla sceneggiatura con Wilder, Chandler si trovò di fronte al cinismo molto più netto e privo di compromessi del regista, che tra l'altro si sposava benissimo con il romanzo di Cain, uno dei picchi neri della letteratura hard-boiled/gialla.
Ne "La Fiamma del Peccato" (più teatrale ma di sicuro effetto la versione italiana del titolo) uno dei grandi punti di forza è proprio la totale assenza di una qualsiasi moralità nei due protagonisti. Avidi, amorali, spinti da egoismo, al di là di ogni possibile, reale redenzione (c'è solo il tentativo finale, quasi timido, di Neff con la questione tra Zachette e Lola).
Ci sono tutti gli elementi classici del genere, portati ai loro estremi espressivi: l'attrazione carnale, la passione bruciante, improvvisa e mai arginabile per una donna (mai può parlarsi di "amore", in realtà, è sempre ossessione) con quest'ultima che è creatura diabolica, ingannevole, astuta guida alla perdizione dell'uomo, debole, nascosto dietro una maschera di dura forza e falsa abilità, in realtà preda dei suoi istinti più bassi e primordiali. C'è la fatalità. Personaggi preda del loro squallore mossi come marionette da forze implacabili, da un destino che sembra inesorabile, alla quale non ci si può opporre, si può solo seguire la strada, fino in fondo ("Straight down the line"), indissolubilmente legati dalla più classica dialettica Eros-Thanatos, fino al baratro finale dal quale è impossibile salvarsi.
Billy Wilder è amaro, cinico, spietato e il film è un drammatico, indimenticabile ritratto della bassezza umana, senza filtri o giustificazioni morali di sorta (e saprà fare di "peggio", il grandissimo Billy, con quell'altro capolavoro assoluto che sarà "Ace in the Hole").
Dunque, proprio negli anni nei quali il genere andava affermandosi con sempre più decisione, il grande europeo trapiantato ad Hollywood tira fuori dal cilindro questo film perfetto che ne fissa molti degli aspetti più caratteristici esprimendoli dai massimi livelli possibili, dall'estetica alla scrittura. Avranno avuto anche mille e più mille contrasti, ma Wilder e Chandler hanno tirato fuori un film che non perde un colpo, così agile e affascinante nei suoi snodi narrativi, così ammaliante nella sua estetica, da spingerti a rivederlo una seconda volta, magari appena il giorno dopo la precedente visione. Quando un film funziona così bene ed è così piacevole da rivedere ogni volta, da spingerti a visioni tanto ravvicinate l'una con l'altra bene, vuol dire che siamo di fronte ad un Capolavoro che, dopo essersi lentamente acceso una sigaretta e dopo aver assaporato, con calma, la prima boccata, ha sparato al tempo un colpo di pistola dritto al cuore. Eterno. Perfetto. Anche in quelle dinamiche che sono veri e propri topos di genere e magari potrebbero sembrare un poco datate ma che io trovo cristallizzate, perfette lì, inserite nel loro contesto.
Insomma, quanto dannazione è stupendo "Double Indemnity". I personaggi sono straordinari, come straordinari sono i dialoghi ("I killed him for money and for a woman. I didn't get the money and i didn't get the woman. Pretty, isn't it", o ancora "I couldn't hear my own footsteps. It was the walk of a dead man". Sono i dialoghi stessi a costruire e impregnare il film di quell'incredibile atmosfera) pieni di amarezza, cinismo ma anche tipicamente "duri" come impone il genere, incalzanti, persino brillanti quando il momento lo richiede. Walter Neff è il perfetto protagonista di un Noir che mostra lo squallore umano: avido, ambizioso e fin troppo sicuro di se e propenso a sopravvalutare le sue abilità (mette in piedi l'intero piano anche per la volontà di dimostrare di essere più abile dell'amico/mentore Keyes), si ritroverà presto nel centro del vortice inesorabile di passione, ossessione e morte tipico del bravo protagonista del film hard-boiled/noir; solo che, come detto prima, lui non è "di buon cuore sotto una scorza dura". Lui è un qualsiasi assicuratore, umanamente squallido, quasi del tutto privo di morale e rimorso. Phyllis Dietrichson è, a mio gusto, la "Dark Lady" per eccellenza del cinema Noir, simbolo iconico dell'assenza di moralità del film, la fiamma del peccato, motore di ossessione e passione bruciante, sensualità e perfidia (in un certo senso, è anche una versione "in carne e ossa" della matrigna di Biancaneve, tra le altre cose), una donna che è solo male, che è un'assassina, che è gelida, che non prova nulla ("I'm rotten in the heart, like you said") tanto che arriviamo persino a dubitare della sincerità di quell'unico, tardivo singulto d'umanità che arriva tardi, troppo tardi ed è subito smorzato nel sangue, nel fatale, inesorabile arrivo alla fine di quella linea retta percorsa fino in fondo. Phyllis è sordida in un mondo sordido, ma è più crudele di quanto già non ci abbia lasciato intuire fin dalle prime battute della storia.
Il trio principale d'attori da a queste figure forza e credibilità, sono perfetti. Tutti dovettero vincere non poche titubanze prima di accettare la parte in un film così cupo, così diverso, così profondamente e realisticamente cattivo, acido; tutti hanno ringraziato Wilder per avere insistito e per averli scelti. Fred MacMurray e Barbara Stanwyck danno assolutamente il meglio di loro, nelle più belle e più indimenticabili interpretazioni della loro carriera e non c'è molto altro da aggiungere davanti a due prove così. Ma va ricordato il terzo tassello del puzzle, il bravissimo Edward G. Robinson, icona di quel gangster-movie che nel decennio precedente aveva rappresentato la maggior fonte di crudezza del cinema americano, qui nei panni dello splendido, azzeccatissimo personaggio di Keyes che caratterizza splendidamente, si reiventa come la fonte di positività, l'unico onesto, l'unico che conserva del buon senso, che agisce per professionalità e per un normale senso morale delle cose, senza per questo essere eroico o speciale. Burbero e chiassoso, ma lontano dal marcio che ha profondamente invaso i due protagonisti, così lontano da non poter, o da non voler vedere quello che ha sotto gli occhi. Al di là dei tre personaggi centrali, solo Lola è la vera fonte di luce e innocenza in un modo spietato e tenebroso che la circonda e sembra soffocarla, ma onestamente è anche il personaggio che mi ha convinto meno, forse l'unica cosa della quale accetto la presenza ma della quale sento avrei anche potuto, forse, fare a meno, in fondo.
Poi c'è tutto il resto. C'è la forma, l'estetica. La messa in scena. Ci sono fasci di luce che gettano le loro ombre attraverso veneziane semi-chiuse; scalinate ed elementi scenografici vari che a loro volta ricoprono con le loro ombre i volti e i corpi dei personaggi in giochi di luci che urlano "Noir" dal profondo. Sigarette accese con calma al proprio amico, in gesti di routine destinati a ribaltarsi ma a rimanere naturali, automatici, giunti al finale.
In una costruzione tutto sommato abbastanza classica, con inquadrature semplici, Wilder inserisce abilmente alcune straordinarie inquadrature in profondità di campo, o angola la macchina per riprese dal basso di grande effetto.
Il "Noir" sembra condensarsi nell'intera sua essenza, nel suo istante perfetto, definitivo, in quell'inquadratura che da il via all'ultimo fatale incontro tra Walter e Phyllips a casa di quest'ultima. Nella profondità di campo di Wilder, nell'atmosfera esaltante costruita grazie alla fotografia di John Seitz, si ritrovano cristallizzati tutti gli elementi che rendono grande il cinema "Noir", è tutto lì, in quel momento. Musica soffusa da fuori la finestra, luci spente, unica fonte di luce modellata dagli spiragli delle veneziane, due pistole nascoste, il fumo delle sigarette e la fine di un percorso di squallore arrivato alla sua ovvia conclusione.
Ultimo elemento di importanza tutt'altro che marginale per il risultato complessivo è l'apporto delle partiture composte da Miklós Rózsa, dominate in particolar modo da quei fiati cupi, incalzanti, minacciosi, integrati superbamente nell'atmosfera del film.
Ecco, "Double Indemnity" ha per me qualcosa di più, anche solo un poco ma ce l'ha, in ogni suo aspetto, rispetto a tutti gli altri grandi, anche grandissimi film del suo genere; ha tutto portato alla sua massima espressione artistica e qualitativa, è per Billy Wilder un primo, folgorante capolavoro in una carriera destinata a decollare da qui in poi. Per molti altri registi, questo sarebbe stato l'apice mai più ripetibile, una vetta troppo alta per poter replicare la scalata. Billy Wilder tornerà su quella vetta in futuro, ben più di una volta.
Uno dei più grandi film nella storia del cinema americano (e non solo).