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DEPARTURES regia di Yojiro Takita

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     8 / 10  29/04/2010 01:51:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quando vado al cinema di Ve passo sempre davanti a una storica impresa di pompe funebri. E puntualmente, ogni volta, faccio qualche scongiuro (magari senza farmi vedere). E' il nostro modo occidentale (di repulsione e disagio) di affrontare il tema della morte. Forse siamo in qualche modo sopraffatti dal Culto che se ne fa in certi ambìti e che predispone a etichette imbarazzanti (v. il criptico manifesto nazista).
Stranamente "Departures" ha il suo punto di forza proprio nella capacità di trasmettere una via d'accesso - ehm - alla trasmissione dolorosa del lutto, mentre è del tutto sprovvisto degli elementi per raccontarci l'altro mistero, quello della vita: si veda a proposito la prospettiva della nascita di un bimbo, elemento che - non è sorprendente? - ci appare furbo, ammiccante, persino fastidioso a tratti.
Takita invero sembra preludere a forte connessioni con il cinema occidentale attraverso tracce che fortunatamente non portano gli sviluppi che lo spettatore si attende. Sì perchè Adigo non arriverà a ritrovare il padre secondo le circostanze tradizionalmente ovvie del melodramma classico, nonostante molte cose ci facciano pensare il contrario - v. la rivelazione fatale della vedovanza del capo. Dove in una sequenza di grande intensità l'uomo prepara il corpo inerme di una donna sconosciuta come se fosse stata la creatura con cui ha vissuto per molti anni ("Tutte le coppie prima o poi vengono divise dalla morte, per chi rimane è un grande dolore").
Le simbologie di Takita vengono azzardate in più momenti - il pesce morto, i sassi come comunicazione tra Adigo e il padre - ma spesso sono soprattutto abbozzi di un manifesto più elegiaco e commosso di quanto sembri.
Il regista riesce abilmente a smascherare le aspettative dello spettatore intelligente e renderle meno futili.
Quel bisogno di "dare a un corpo divenuto freddo una bellezza che durerà per sempre" plasma i rimorsi e il dolore in una forma quasi parossistica di devozione anche spirituale ("la morte non è che un cancello").
Nonostante verso il finale il film rischi di annaspare in un compiacimento senza via d'uscìta, permane la forte sensazione di un film invero molto molto bello, soggiogato dalle spire di un rimpianto che deve ad ogni costo liberarsi attraverso il tocco "orientale" dell'estetica.
Perchè forse è più duro accettare - come si dice nel film in un'inedita e spietata requisitoria animalista - che noi esseri viventi sopravviviamo nutrendo il nostro corpo "di cadaveri".
Ma onestamente non so se domani ci penserò ancora dopo aver assaggiato la mia dose quotidiana di carne
suzuki71  12/05/2010 08:57:07Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
....ma tu voti sempre e solo in base al giudizio della carta stampata? :-) vedi che dietro spesso ci sono vari interessi e pressioni delle case di distribuzione....
maremare  14/05/2010 01:36:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
quoto
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  17/05/2010 13:53:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Se dovessi attenermi alla carta stampata, sarei messo male visti i tanti troppi film sottovalutati o al contrario pluriosannati più del dovuto. Io voto semplicemente per le impressioni che provo io stesso, se questo non va bene non so che farci filmscoop non è e non sarà mai una bibbia di cinema, con tutto il rispetto